Non c’è stato, non si dice clamore, ma nean­che eccessiva attenzione al centenario della nascita di Danilo Dolci, sociologo prestigioso, che ha impegnato la sua vita in una duplice direzione: educare i cittadini a una conoscenza intelligente della propria dimensione intellettuale e a sviluppare un impegno civile di alto prestigio per combattere le troppe ingiustizie che abitano questo mondo. Una vera vocazione, mai sentimentale, mai emotiva, sviluppata negli orrori della Sicilia del dopoguerra tra mafia e imbrogli politici, da cui ebbe a difendersi con accanita severità. Omaggiato da grandi intellettuali italiani e stranieri, sviluppò battaglie epocali in una terra, quella siciliana, che da secoli appare nella cultura del nostro paese come un’appendice al di fuori di regole e di costrutti democratici. Come la realtà quotidiana continua a raccontare.
Studiando gli interessi sociali di Dolci c’è da rimanere stupiti che non sia mai stato oggetto di attentati alla sua persona. Subì vessazioni, di cui diremo, sempre nell’ambito di una legalità deformata e sprezzante. Ricevette molti encomi, ma dopo la sua morte gli è stato solo intestato un istituto superiore nel paese di Partinico, dove trascorse la sua vita “missionaria” guidato dai valori della non-violenza tanto da meritarsi la simbolica definizione di “Gandhi italiano”. Fu anche candidato parecchie volte al premio Nobel per la Pace.
Nato il 28 giugno 1924 a Sesana (Trieste), oggi Slovenia, da Enrico, impiegato nelle ferrovie dello Stato, e dalla madre slava, Meli Kontely, percorre il suo itinerario scolastico in Lombardia, frequenta fino alla maturità l’accademia di Brera per poi iscriversi alla facoltà di Architettura. Fu arrestato dai fascisti a Genova nel 1943, ma con uno stratagemma riuscì a fuggire e a raggiungere le montagne abruzzesi e poi Roma. Nel ’50 accorre a Nomadelfia in Toscana, comunità gestita dal generoso don Zeno Saltini, che aveva organizzato un villaggio in cui molte donne e famiglie si occupavano di accogliere giovani orfani della guerra. In circa dieci anni a Nomadelfia passarono quattromila bambini.
Nel periodo dell’infanzia, seguendo la professione del padre, era stato a Trappeto, in provincia di Palermo, dove ritorna nel 1952, colpito dallo stato di degrado sociale nel quale viveva la popolazione. Con un gruppo di collaboratori volontari avvia la sua opera di intervento organico per lo sviluppo della Sicilia occidentale.
In anni in cui le mitologie rivoluzionarie e il banditismo siciliano imperversano, Dolci, col metodo non-violento e senza bandiere politiche, inventa strategie coinvolgenti: si succedono le tappe dei digiuni, delle marce e delle azioni di denuncia sociale. Il 14 ottobre 1952 inizia il suo primo digiuno accanto al letto di un bambino morto di fame. Nel novembre del ’55 un secondo digiuno nel quartiere di Spine Sante a Partinico: mira a sollevare la questione della costruzione della diga sul fiume Jato. L’inizio dei lavori sarà attuato solo nel 1962 in seguito a una grande manifestazione popolare che scosse le autorità non solo locali.
Sposa una vedova di un uomo ammazzato dalla mafia che aveva cinque figli.
Il 30 gennaio del ’56 si colloca il digiuno dei “mille” sulla spiaggia di San Cataldo (Trappeto) per cercare di modernizzare le strutture urbanistiche e civili del paesino.
Nello stesso anno, il 2 febbraio, centinaia di disoccupati si mettono al lavoro con uno “sciopero alla rovescia” per realizzare migliorie su una strada (trazzera) intransitabile con intervento non autorizzato di contadini e disoccupati.
In questa occasione Dolci e quattro sindacalisti vengono arrestati: rimarranno nel carcere palermitano dell’Ucciardone per due mesi. Allo scrittore viene riconosciuta “una spiccata capacità a delinquere”. In questi due mesi Danilo raccoglie incredibili testimonianze di carcerati che poi pubblicherà. Ne nasce un vero e proprio “caso Dolci”, che vede numerosi intellettuali italiani e stranieri, da Silone a Pratolini, Carlo Bo, Vittorio Sereni, Moravia, Fellini, Cagli, Mauriac, Sartre, schierati in comitati di solidarietà e mozioni di protesta; si registrano inoltre le interrogazioni alla Camere di Li Causi (Pci), De Martino (Psi), La Malfa (Pri).
Dolci subisce intanto dal Ministero degli Interni, nel governo presieduto da Tambroni, il ritiro del passaporto, con l’assurda motivazione di avere con le sue opere diffamato l’Italia all’estero, e un processo a porte chiuse più che mai immotivato con l ...[continua]

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