Con questo mutamento del cerimoniale, voleva evidenziare lo stato di ostilità tra il papa “prigioniero” tra le mura vaticane e il governo italiano che dalla presa di Porta Pia (1870) era diventato “usurpatore” dello stato pontificio. Nella prima allocuzione dopo il concistoro (28 marzo 1878) e nella prima enciclica (21 aprile 1878) rinnovò solennemente le proteste del suo predecessore e continuò a ripeterle ossessivamente e con metodo ogni volta che si presentava l’occasione per la perdita del potere temporale. I governanti italiani (governo Crispi) non si fecero irretire dalle proteste di Leone XIII, tanto più che queste avevano una forma meno violenta e lontana dalle escandescenze di Pio IX. Il nuovo papa aveva aspetti di mitezza che lo portavano anche ad associare inviti alla pace. Durante il suo pontificato le misure anticlericali furono scarse. L’unica fu nel 1880: l’esclusione del catechismo dai programmi delle scuole, che preparavano i maestri delle scuola normali.
Ma Leone XIII, occorre ricordare, trasformò in un divieto vero e proprio l’istruzione che Pio IX aveva dato nel 1874 ai cattolici italiani, perché si astenessero dalle elezioni politiche.
Papa Pio IX non aveva voluto firmare la legge delle guarentigie (garanzie) che dopo la presa di Roma erano state proposte al Vaticano, come risarcimento anche fiscale delle regioni espropriate. Ma Crispi scrisse con determinazione: “Noi non domandiamo conciliazioni, né ce ne occorrono, perché lo Stato non è in guerra con nessuno. Né sappiamo né vogliamo sapere quello che si pensa in Vaticano”. Il problema fu risolto nel 1929 da Mussolini, con la firma del Concordato.
In questo clima incandescente fu anche proclamata dallo Stato italiano festa nazionale il 20 settembre.
La Chiesa aspettava la caduta della monarchia per poi opporsi alla rivoluzione sociale sull’onda delle manifestazioni che la classe operaia andava organizzando in tutta Europa.
In attesa della catastrofe liberatrice, Leone XIII, cercò di preparare in Italia una massa di manovra capace di rivendicare, al momento opportuno, i diritti della Santa Sede. Il modello era fornito dalle organizzazioni democratiche cristiane che si andavano moltiplicando in Germania e in Belgio e che trovarono incoraggiamento nella più importante delle encicliche di Leone XIII, la “Rerum Novarum” del 15 maggio 1891.
Erano anni di profonde trasformazioni nella formazione della società capitalistica e, nonostante le divisioni nel mondo cattolico tra conservatori e progressisti, Leone XIII volle porre come rimedio ai conflitti tra capitale e lavoro, l’insegnamento del Vangelo. Per lo meno il Vangelo poteva rendere “assai meno aspro” il conflitto.
Nell’enciclica si legge: se i lavoratori si uniformeranno a quell’insegnamento, capiranno che debbono eseguire onestamente e bene i patti giusti liberamente firmati: non debbono usare violenza nel rappresentare la propria causa e soprattutto debbono imparare che la virtù, e non la moneta, o la proprietà, o la posizione sociale, è il più alto premio a cui essi possono aspirare. Se avranno imparato questa verità saranno contenti della loro posizione. A loro volta i datori di lavoro devono imparare che gli operai non sono loro schiavi, non devono esigere da essi lavori al di là delle loro forze, non devono impiegarli in lavori disadatti al loro sesso o alla loro forza. In questo senso l’enciclica esprimeva una posizione fortemente polemica sia nei confronti del liberalismo (basato sui principi dell’individualismo generatore di egoismi e ingiustizie sociali) sia del socialismo (basato sui principi del collettivismo e della lotta di classe, negatore della proprietà privata). I cattolici dovevano affrontare i problemi dei lavoratori in una prospettiva cristiana, tendente ad armonizzare i diversi interessi presenti nella società, a incentivare la collaborazione tra capitale e lavoro, a sollecitare attraverso l’accordo tra le classi il riconoscimento reciproco ...[continua]
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