Perché un giovane di ventitré anni, qualche giorno prima di discutere la tesi di laurea, si esplode un colpo di pistola alla tempia insanguinando le carte posate sulla scrivania nel suo studio, nella piazza centrale di Gorizia? Era il 17 ottobre del 1910 quando Carlo Michelstaedter compie questa scelta tragica per porre fine alla sua vita,lasciando interrogativi culturali ed esistenziali di forte attualità.
Aveva scritto la tesi con accalorata e drammatica indagine, da venire considerato precursore di itinerari filosofici del Novecento. Pubblicata poco dopo la morte, la tesi, dal titolo di non facile interpretazione, “La persuasione e la retorica”, è un monumento lasciato in eredità al secolo appena iniziato, ad ammonire sulle ipocrisie delle velleità e delle superficialità esteriori a cui l’uomo si abbandona, piuttosto che cercare di approfondire la propria dimensione interiore e aprirsi una via solitaria senza sperare mai in alcun aiuto.
Sergio Campailla, serio studioso di Michelstaedter che da decenni si occupa di questo giovane, in una rinnovata biografia, con accurati dettagli, segue i pochi anni di una storia umana avvincente e titola la sua fatica “Un’eterna giovinezza: vita e mito di Carlo Michelstaedter”, ed. Marsilio. Il libro che accarezza con poetico convincimento i dolori ed i tremori di questo intellettuale che aveva tra i suoi riferimenti Ugo Foscolo, ha pagine iniziali avvincenti, dedicate alla città di Gorizia. Il padre Alberto, di origine ebraica, dipendente delle Assicurazioni Generali, è uomo di forte temperamento e ha con il figlio un rapporto autoritario. Con la madre, Emma Luzzato Coen, ebbe invece rapporti tormentati, ma la amò e le dedicò pagine emozionanti.
Carlo pensava di andare a studiare matematica a Vienna, ma pensò di trasferirsi a Firenze per frequentare facoltà umanistiche. Ebbe una storia di amore con Nadia Baraden, di origine russa, che si suicidò nel 1907 in piazza Vittorio Emanuele a Firenze, mentre Carlo era tornato a casa per Pasqua. Gli aveva lasciato una lettera nella quale lo accusava di non avere rispettato la loro amicizia. Ebbe poi una storia con una giovane calabrese, Jolanda De Blasi, cattolica, che Carlo avrebbe voluto sposare. I genitori si opposero. Il profilo del padre venne da Carlo raffigurato sul basamento della Sfinge egiziana e Campailla ha buon gioco a costruire itinerari edipici infiocchettati da tematiche freudiane, incentrate sui complessi di colpa. Carlo scriverà alla madre: “L’affetto per la mamma resta il rifugio sicuro, il piccolo porto dove l’uomo torna a sentirsi puro, tranquillo, dove le piccole miserie della vita non giungono”. Dopo la visita militare, per fare baldoria (“chi non è buono per il re non è buono per la regina” si diceva ai coscritti) andò in un bordello dove contrasse una malattia venerea. “Altro affare”, scrisse disarmato al padre. Si curò, riuscì a praticare sport, a scalare le montagne dietro Trieste. Giunse alla famiglia la notizia che a New York il figlio maggiore Gino, là immigrato, si era suicidato nel 1909. “Sento l’umiliazione della nostra famiglia mutilata- scrisse- come di una piaga aperta”. Nel volume più noto, nel quale esalta la persuasione platonica nella sua dimensione di assoluto e denigra la retorica aristotelica che ha ricondotto l’uomo sulla terra, Carlo sosteneva che il viandante nel deserto dell’esistenza è il primo e ultimo crocifisso al legno della propria sofferenza e alla schiavitù della croce dei falsi bisogni. Perché in ogni istante ognuno rimane avvolto nella cura per ciò che non è ancora e per il rimpianto per ciò che non è più. “La vita nella morte -scrisse- la morte nella vita”. E ancora: “La vita si misura dall’intensità e non dalla durata”. Era venuto ai ferri corti con la vita. Alle due del pomeriggio si sparò alla tempia. Sopravvisse ancora tre ore. È sepolto nel cimitero di val di Rose a Nova Gorica. La madre Emma e la sorella Elda morirono a Ravensbruck nel 1944. Nel loro pensiero Heidegger, Derrida e Wittgenstein hanno seguito le sue tracce. Una cassa dei suoi libri conservata dalla sorella Paula è stata ritrovata nel 2018. Era stata affidata alla famiglia Bertoldi. Nel vita di un giovane, un’ importante interpretazione del pensiero europeo.
Carlo Michelstaedter
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