Tonino Perna, economista e sociologo, insegna Sociologia economica presso l’Università di Messina e Istituzioni di economia presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria. Già direttore del Cric (Centro Regionale d’Intervento per la Cooperazione) è attualmente presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Ha scritto diversi saggi sulla dipendenza e il sottosviluppo fra cui Mercanti imprenditori consumatori (Franco Angeli, 1984), Lo sviluppo insostenibile (Liguori, 1994), Fair Trade (Bollati Boringhieri, 1998), Aspromonte. I parchi nazionali nello sviluppo locale (Bollati Boringhieri, 2002).

In Calabria, ma un po’ in tutto il Meridione, è ripresa l’emigrazione…
Sì, sembrava una cosa finita, e invece è ripresa, un po’ in tutto il Sud. Con una differenza di fondo rispetto agli anni Cinquanta: che i meridionali che partono adesso -e i calabresi sono forse il gruppo più numeroso- sono ragazzi laureati. Per la prima volta l’emigrazione anziché una risorsa economica rappresenta un costo per la società meridionale: il Sud paga per portare un giovane fino ai trent’anni, gli fa fare il master, il dottorato di ricerca, dopodiché costui non sa cosa fare ed emigra al Nord.
La situazione evidentemente è difficile in tutto il Paese, la delocalizzazione industriale ha colpito ovunque, ma qui è l’inedia. Gioca anche il fatto, senz’altro, che la Calabria ha il triste record di avere un’economia sostanzialmente pubblica (è un fenomeno che riguarda anche altre aree del Meridione ma in Calabria è particolarmente evidente): la spesa pubblica arriva al 45%, se poi aggiungiamo tutto il privato che lavora per il pubblico, arriviamo al 65%-70%. Si dirà: è assistenzialismo. Sì, è vero, ma è anche un fenomeno strutturale, che non può certo essere smantellato tutto d’un colpo. Da qui poi deriva tutto il peso e la centralità della politica. Certo, anche al Nord gli imprenditori hanno rapporti coi politici però esiste comunque una struttura produttiva che ha un suo spazio autonomo. Qui no. Prendiamo l’editoria: ci sono decine di piccoli editori in Calabria, che lavorano solo perché è l’ente pubblico a comprargli i libri. Ce n’è uno solo, Rubbettino -la più grossa casa editrice calabrese- che ha un po’ di mercato, ma guarda caso la metà del suo volume d’affari riguarda l’università.
D’altronde sono andati in crisi anche quei pochi meccanismi autopropulsivi, e cito due esempi importanti degli ultimi dieci anni: il grande polo elettronico di Pasquale Pistorio, a Catania -cinquemila addetti, tutti ingegneri e tecnici- e il distretto del salotto tra Matera e Bari. L’anno scorso quest’ultimo ha perso millecinquecento posti di lavoro e altri tremila li perderà nel corso dell’anno, ovviamente a causa della delocalizzazione, a cominciare dall’azienda più famosa, la Divani&Divani di Natuzzi fino agli imprenditori più piccoli. Chi delocalizza in Cina, chi in Romania... Lo stesso pare voglia fare Pasquale Pistorio. Perciò anche quel che c’è di positivo, nato dal basso, nei settori nuovi, strategici, sta andando in crisi.
Come se ne può uscire?
Beh, intanto garantendo a tutti un minimo vitale. Altrimenti alla macrocrimininalità, qui, tra breve, si assocerà una microcriminalità di massa. Perché la situazione comincia a diventare veramente pesante.
Con la devolution toglieranno progressivamente alla Calabria i trasferimenti netti dello Stato, dopodiché qui non lavorerà, non mangerà, non farà niente più nessuno. Certo, uno può dire: peggio per voi, avete avuto trent’anni per creare un sistema produttivo. E’ quello che la Banca Mondiale dice ai paesi del Sud del mondo: contate sulle vostre forze. Però, prima, attraverso l’avvento del mercato, hai smantellato una struttura sociale, culturale…
Secondo te la politica degli interventi straordinari ha cancellato il tessuto produttivo del Mezzogiorno…
Sì. Il Mezzogiorno era “chiuso” dal punto di vista del mercato mondiale, perché era irraggiungibile -non c’erano strade né aeroporti, c’era, sì, la ferrovia, ma poi mancavano le strade per collegarla con l’interno. Insomma, era tutto molto lento. Di una lentezza che faceva lievitare enormemente il costo del trasporto, diventando una sorta di barriera naturale.
Quando lo Stato costruisce le ferrovie, le autostrade, porta l’elettricità -ancora negli anni Cinquanta metà dei comuni calabresi erano senza elettricità- il telefono, la televisione, nelle zone interne della Sicilia, della Sardegna, della Calabria (l’ossatura del Mezzogiorn ...[continua]

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