Francesco Codello è dirigente scolastico in un istituto di Treviso. Studioso della pedagogia sperimentale e libertaria, è redattore della rivista “Libertaria”. Recentemente ha pubblicato La buona educazione. Esperienze libertarie e teorie anarchiche in Europa da Godwin a Neill (Franco Angeli, 2005) e Vaso, creta o fiore. Né riempire né plasmare ma educare (la Baronata, 2005).

Tu ti occupi di pedagogia libertaria, ma cosa distingue la pedagogia libertaria dal resto della pedagogia e cosa implica l’aggettivo “libertaria”?
Per rispondere occorre partire da una considerazione preliminare: studiando la storia della pedagogia si trova una costante, trasversale a quasi tutte le filosofie e le pedagogie, cioè, fondamentalmente, il germe dell’autoritarismo. Questo, a sua volta, consiste sostanzialmente nel fatto che, per delineare il possibile processo educativo, si parte dal presupposto di possedere un’idea precisa dell’uomo, della sua essenza. L’agire educativo si indirizza immediatamente al “dover essere dell’essere”, cioè a come l’essere umano empirico, quello che hai concretamente davanti, deve diventare. Ecco allora che tu lavori, ti muovi, fai, perché questo dover essere, l’idea di uomo che hai in testa, sia lo scopo finale dell’educazione. Per questo, a seconda del centro attorno a cui tale idea di uomo è fatta girare, abbiamo, come scopo dell’educazione, il buon cittadino, l’uomo pio e di buoni sentimenti, e così via.
Questa logica che fissa a priori cosa debba essere l’uomo è, indistintamente, una costante che si è accompagnata a moltissime pedagogie.
In questo senso la storia della pedagogia è, in gran parte, una storia di potere. E a questo genere di approccio non sono sfuggiti né l’illuminismo né il marxismo, ma non è sfuggito neppure un filone importante dell’anarchismo, cioè quello che nasce durante l’illuminismo all’interno del movimento socialista e che ha il suo apogeo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Anche secondo questo filone, l’educazione, che deve essere gratuita e per tutti, ha il compito di formare l’“uomo nuovo”, che per gli anarchici, così come per tutti i socialisti, coincide con l’“uomo libero”.
Il problema, tuttavia, è che rischia di non essere proprio così, dato che alla base c’è un’idea precostituita, un “dover essere” posto a priori. A fianco di questa impostazione c’è stato un altro filone pedagogico-educativo (quello libertario, che ho cercato di descrivere ne La buona educazione) che ha privilegiato invece l’“educazione all’essere”, non al dover essere. E’ un filone che nasce, come approccio consapevole, a fine Settecento, in Inghilterra, con William Godwin; lo si ritrova poi, a fine Ottocento, in Francia con Elisée Reclus, in Russia con Tolstoj e la scuola di Jasnaja Poljana, mentre nel Novecento mi pare soprattutto rappresentato, ancora in Inghilterra, da Alexander Neill e dalla sua scuola “Summerhill”.
Eppure anche Reclus, Tolstoj, Neill sono stati impegnati socialmente e politicamente…
Di questi solo Reclus apparteneva a un movimento organizzato -fu un esponente di spicco del movimento anarchico del secondo Ottocento-, mentre sia Neill che Tolstoj, pur essendo dichiaratamente dei libertari radicali, impegnati in varie battaglie politico-sociali, non si sono mai dichiarati esplicitamente anarchici, e proprio questo è stato un elemento che mi ha fatto riflettere. Mi è sembrato che nelle loro teorizzazioni e sperimentazioni, occhieggiasse, seppure con accentazioni diverse, un modo di sentire e di vedere che l’illuminismo, il positivismo e i socialismi che ne sono seguiti, pur con tutte le loro buone intenzioni, avevano messo in ombra, cancellato o non compreso. Come ho detto, infatti, anche nei filoni anarchici ottocenteschi, che pure sottopongono praticamente tutto a una critica radicale, prevale spesso un’idea precostituita di essere umano, quella che, per esempio, porta Proudhon ad identificarlo col lavoratore intelligente, che assume in sé la funzione “politecnica”, cioè il lavoratore in grado di stare intelligentemente dentro al processo produttivo. In seguito, all’interno della Prima Internazionale, nasce il dibattito sulla “educazione integrale” -cioè l’educazione di tutti gli esseri umani “a tutto campo” che dovrebbe durare tutta la vita e che è incentrata su un’idea “militante” dell’uomo-, un concetto che Paul Robin, Michail Bakunin, e in genere gli anarchici, estremizzano, pur con diverse sottolineature. L’idea della “educazi ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!