La promessa di Menem era che privatizzando tutto si sarebbe cancellato il debito col Fondo Monetario Internazionale, che allora ammontava a 67 miliardi di dollari; ebbene, alla fine del suo mandato era di 180 miliardi di dollari. Là è arrivato il crack: tutte le fabbriche si sono fermate, non c’era più lavoro per nessuno. Il presidente Menem aveva fatto il cambio mettendo alla pari dollaro e peso argentino. A quel punto, ovvio, tutta la gente che aveva pesos si era messa a comprare dollari, i piccoli investitori si erano scatenati. Mio fratello è una delle vittime di quell’illusione. Nel momento peggiore della crisi si era arrivati a togliere sei zeri tutt’a un tratto. Così da un giorno all’altro, chi aveva messo via dei soldi si vedeva restituire delle monetine. L’inflazione era arrivata al 6000% al mese. I prezzi cambiavano tutti i giorni ed erano sempre più cari col peso che calava a picco…
Sono nato in Italia, a Istrana, in provincia di Treviso, dove sono rimasto fino a sette anni. Nel dopoguerra in Italia la situazione era drammatica, in Veneto c’era la miseria. Mio padre, non riuscendo a trovare lavoro e dovendo aiutare la famiglia, decise di accettare la proposta di uno zio, già emigrato in Argentina. Così nel 1947 i miei genitori si trasferirono là con me e mio fratello. Lo zio era un Sartori, in Veneto ce ne sono tanti, aveva un campo; siamo andati a vivere lì. Solo che lui voleva che mio padre, in cambio di vitto e alloggio, lavorasse lì. Mio padre non ha accettato, tra l’altro mia madre aveva un problema grave al fegato e lì non c’era assistenza. Allora è partito alla ricerca di un’altra sistemazione, che ha trovato a Dolores, in provincia di Buenos Aires. Un posticino con una cucina. A quel punto l’abbiamo raggiunto anche noi. A 17 anni sono uscito di casa e mi sono messo a fare dei lavoretti. Sono sempre stato un tipo scapestrato, ma anche autonomo. Ho fatto tutti i lavori, impiegato di commercio, imbianchino, sono stato in una pescheria… Dopo qualche anno ho trovato lavoro a Mar del Plata dove sono rimasto quasi 15 anni, dai 25 ai 40. Di lì mi sono di nuovo trasferito quando mi è stato offerto di lavorare in un’impresa a Santiago del Estero, dove oggi c’è la mia casa. Ero responsabile per una ditta che faceva case prefabbricate per i lavoratori, era una commessa statale: dovevamo costruire un quartiere operaio. Sono rimasto dieci anni in quella ditta. Quando è morto il padrone, i figli non sono stati in grado di portare avanti l’impresa e così ho cambiato di nuovo lavoro, passando nel settore della metalmeccanica, dove ho trascorso gli ultimi quattro anni.
Sono tornato in Italia, perché là non avevo scampo. E’ stato terribile. Anche perché sono venuto da solo, la mia compagna è dovuta rimanere là in quanto extracomunitaria.
Ora viene in Italia periodicamente, ma non si può fermare più di tre mesi, tanto dura il permesso turistico. E poi il viaggio costa molto. Quest’ultimo le è stato regalato da un amico, perché io non potevo. Anche il mio primo viaggio in Italia mi è stato regalato. Con i pesos non ce la fai. Il volo costa 1380 dollari, il valore in pesos è tre volte tanto, e uno stipendio è sui 700 pesos: come fai a mettere qualcosa da parte? Oggi anche la carne costa carissima, 12 pesos al chilo, tutto è aumentato. Per fortuna la casa è nostra. E’ un’abitazione semplice, ma con tutto quello di cui abbiamo bisogno: due camere, la cucina assieme alla sala da pranzo, il bagno e un po’ di giardino. E’ bella, a noi va bene così. Il problema è che Norma e io non siamo sposati, quindi non posso ottenere il ricongiungimento familiare: non riconoscono una coppia che sta assieme da 25 anni. Eppure in Argentina questo è certificato. Da questo punto di vista là sono più avanti: in Argentina dopo tre anni di convivenza viene riconosciuta la coppia di fatto. Io sono sposato e divorziato, con due figli, un maschio e una femmina. Norma è anche lei sposata e divorziata con due figli maschi. Quando erano più piccoli vivevamo assieme ai suoi figli, i miei erano rimasti con la mia ex moglie, e però le vacanze le facevamo tutti assieme. Finite le scuole, arrivavano i miei figli e passavano tre mesi da noi. Il paese in cui viviamo, La Banda, in provincia di Santiago del Estero, dista 1600 km da loro. Ora, vedi come va a volte la vita: mia figlia Silvana è fidanzata con il figlio di Norma, e ora abbiamo u ...[continua]
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