Andrea Canevaro, educatore, Università degli studi di Bologna, ha pubblicato, tra l’altro, Le logiche del confine e del sentiero. Una pedagogia dell’inclusione (per tutti, disabili inclusi), Centro Studi Erickson, 2006.

Vorremmo parlare della questione della memoria, quella personale e quella civile, e di tutti i problemi anche politici che questa pone.
Parto dallo specifico su cui più lavoro e mi impegno, le persone con disabilità. Spesso non c’è memoria, nel senso di memoria collettiva, non c’è l’idea che ci sia stato un passato in cui le persone con disabilità avevano una certa identità, un certo tracciato nella storia. Esistono i luoghi, ma non le persone, e poi a volte neanche i luoghi: noi abbiamo fortunatamente fatto un passo in avanti rispetto alle istituzioni totali, che non ci sono più, ma mancano i luoghi per poter dire: “Lì c’erano delle persone disabili”. E quindi si vivono le persone disabili come un dato sempre attuale, senza un passato, e questo è il presupposto per non avere neanche l’idea di un futuro, l’idea di un progetto. Ovviamente questo non vale per coloro che se ne occupano, che hanno l’idea che c’è stato un passato, e che da questo passato abbiamo preso una strada, eccetera, eccetera, però non è una memoria diffusa, è una memoria circoscritta a poche persone e questo permette di avere dei giudizi a volte fuori contesto, perché la memoria è anche un meccanismo molto semplice, nella testa di ciascuno, non è neanche frutto di un gran ragionamento. La memoria permette di avere sempre un giudizio comparato. Ad esempio, quando uno arriva in una casa dopo un po’ di tempo, vede un bambino e nota come è cresciuto, fa un giudizio comparato, nota cose che forse chi ha vissuto giorno dopo giorno in quella casa non ha avvertito, perché vive dell’attualità, non fa memoria, se non perché magari bisogna comperare un nuovo paio di scarpe. Ci sono dei segnalatori del tempo che passa e la memoria è richiamata da qualche necessità.
La possibilità di far crescere una memoria è anche la possibilità di scoprire qualcosa di cui nel tempo sono sparite le tracce.
C’è una bella poesia o preghiera, che credo sia brasiliana, che parla di una persona che ripercorre le tracce della sua vita ed è sempre in compagnia del suo dio, però ad un certo punto di tracce, sulla sabbia della vita, ce n’è una sola e allora questa persona dice: “Mi hai lasciato sola?”, “No, eri stanco e ti ho preso in braccio”. Questa bella poesia mi ha fatto riflettere e ragionare proprio sul problema della memoria. Troppe volte ci siamo sentiti, noi normali, come dei padreterni e abbiamo pensato che si poteva prendere in braccio qualcuno, non limitandosi ad accompagnarlo. A volte si può fare ed è una buona cosa, a volte però lo facciamo senza rispettare il desiderio dell’altro di lasciare una traccia: portando qualcuno, spesso pensiamo di compiere un gesto eroico, sarà eroico, forse, ma non è civile.
Per compiere un gesto civile bisognerebbe accompagnare e permettere che ognuno lasci le sue tracce, che vuol dire rallentare, appoggiarsi: questo mi pare che sia un elemento da tenere presente per la memoria, perché poi fa parte delle altre memorie cancellate, memorie che non sono entrate nella memoria comune.
Un tempo, quando eravamo più fermi, meno agitati, meno nomadi, c’era la possibilità di dire che un oggetto era stato costruito da un bisnonno, da qualcuno che, senza volerlo, aveva fatto in modo di lasciare una traccia. Poi cosa è successo? Intanto, magari abbiamo cambiato tante volte casa e a ogni trasloco sei costretto a buttar via, e la memoria va via anche in quel modo. C’è già una sensazione di dover abitare il presente senza avere degli elementi che fanno parte del passato. Altre volte, poi, cambiando casa si cambia anche paese e si arriva in un posto dove tutti i segni di una memoria civile, un monumento, il nome di una strada, rimandano a una memoria che non mi appartiene. Arrivo, egiziano, in una cultura che non mi dice niente della mia memoria: ho detto “egiziano” a caso, in effetti credo che molte delle nostre abitudini derivino proprio dagli egiziani. Allora, forse, si potrebbe rintracciare qualche cosa che è egiziano e noi non lo sappiamo. Mi chiedo da dove viene lo spazzolino da denti, non certamente da un’invenzione “italica”, come anche il pigiama... Oggetti e abitudini della quotidianità vengono da altri paesi; arrivano adesso delle persone da quei paesi, non trovano un monumento, ma potrebbero trovare ...[continua]

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