Partiamo dal sindacato, anche se non ci sei più, per poi arrivare al partito democratico…
Non faccio più parte del sindacato ma, ovviamente, sono ancora iscritto, ci mancherebbe altro. Mi sono iscritto nel 1976 e dal dicembre ’85 a gennaio 2006 sono stato nella Segreteria della Cgil di Verona. Negli ultimi otto anni, ho fatto il segretario generale. Sono uscito per completamento dei mandati a gennaio e la Cgil ha eletto -con voto segreto, com’è obbligatorio- una segretaria donna, l’unica nel Veneto e una segreteria con il 40% di donne, come da regolamento. Non avviene quasi da nessuna parte e questa è la cosa di cui sono più soddisfatto. Lo dico perché, secondo me, se è importante il giudizio che si dà sul lavoro che uno ha fatto, lo è altrettanto anche quello su come uno lascia l’organizzazione. Io ho lasciato un’organizzazione in piedi, con gli iscritti cresciuti, i dati sono lì, e con un gruppo dirigente che non ha perso un giorno a litigare sulla leadership.
Per venire al cuore della domanda. Nell’ultimo anno e mezzo in particolare, ma dovrei dire in tutti gli ultimi anni, ho spinto perché il sindacato fosse protagonista di un processo di ripensamento, di rinnovamento di se stesso e il Veneto aveva, da questo punto di vista, costruito una bella cosa che si chiamava “conferenza di progetto” con un bel titolo, “Il sindacato e la grande trasformazione”. L’idea era che il sindacato del XXI secolo non potesse avere gli stessi impianti culturali, gli stessi modelli organizzativi di quello della seconda grande industrializzazione. L’economia e la società della conoscenza, il post-fordismo, il superamento dei bisogni primari per grandi fette di popolazione, la trasformazione dell’economia, la nuova gerarchia anche delle priorità per le persone, richiedevano un sindacato che appunto sapesse fare con grande intelligenza un’opera di ripensamento e di riorganizzazione. Cosa che, devo dire, a tutt’oggi non è riuscito a fare. Continua ad annunciarla, ma non sarà certo la conferenza di organizzazione a portarla a termine perché questa, a rigore, dovrebbe seguire il cambiamento di posizionamento politico-culturale e di modelli organizzativi. Non è certamente inserendo due donne e due giovani in più che si riesce a ricalibrare la propria capacità di interpretare i bisogni del XXI secolo. Il sindacato fa tre mestieri sostanzialmente: la contrattazione, e già su questo ci sarebbe molto da dire, la tutela dei diritti e la promozione anche del desiderio e dell’aspettativa delle persone con le strutture di servizio, un lavoro prezioso ma a tutt’oggi considerato di rango inferiore, poi la rappresentanza generale degli interessi, che è il tema generale di cui si occupa la confederazione, quindi pensioni, scuola, sanità, ecc. Ebbene, noi soffriamo su tutti e tre i fronti.
Ma ci tengo a puntualizzare una cosa: non è che io sia genericamente critico, sono critico in modo preciso e sono, soprattutto, molto preoccupato. Non ho l’atteggiamento tipico di chi, quando se n’è andato, comincia a criticare il sindacato come se fosse cosa altra da sé, io continuo a voler bene al sindacato, e parlo di sindacato, non della Cgil, perché mi sono sempre sentito un rappresentante del sindacato, quindi Cgil-Cisl-Uil, ovviamente più della Cgil perché è lì che ho partecipato, ma mai con un’azione ostile nei confronti degli altri.
Le cose che dirò -ci tengo a dirlo- le ho dette e scritte quando ero segretario generale…
Hai fatto cenno al ricambio generazionale...
Sulle questioni del ricambio generazionale, più che altro esponiamo dei desideri, ma la struttura del sindacato è pesante e fortemente invecchiata nel gruppo dirigente. Chiamiamo giovani persone che hanno 40 anni. Quando entrai nel sindacato e divenni segretario di categoria avevo 27 anni, quando entrai nella segreteria confederale ne avevo 33. Oggi, a 33 anni, uno fa i corsi per delegati. Quindi c’è un problema serissimo, anche nel sindacato, di leadership generazionale.
Dicevi che il sindacato sta eludendo tutte le grandi questioni sul tappeto...
Tutte. La riforma della contrattazione, la riforma delle pensioni, i ricambi generazionali, il sistema del welfare, gli investimenti in formazione, il tema dei giovani, le questioni del territorio. Sono state tutte rinviate e non c’è niente di peggio in politica che rinviare i problemi perché ti ritornan ...[continua]
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