Si può pensare che oggi il cattolicesimo, la chiesa, abbia più “spazio libero” rispetto al passato? Che la crisi politica e ideologica della sinistra lasci un fortissimo spazio all’azione della religione, sia sul piano sociale che anche politico?
Sarebbe bene innanzitutto distinguere tra l’azione religiosa in senso proprio, con l’animazione sociale e culturale a questa connessa, definibile come “piano dell’evangelizzazione”, e “piano politico” attinente ad una o più progettualità in funzione o del cambiamento storico o della gestione dell’esistente al fine di ottenere il massimo di “bene comune” possibile. Sul primo piano in teoria gli spazi sono più aperti che in passato: un certo laicismo tabuistico, totalizzante, eredità frammista di positivismo e materialismo, sembra aver ceduto ovunque il passo nell’ultimo decennio a una visione più larga, problematica, interculturale, del significato del convivere. C’è più rispetto della coscienza credente, delle tradizioni religiose, della dignità della domanda e della risposta religiosa.
L’annunzio religioso trova perciò, in teoria, meno ostacoli diretti sul proprio spazio e percorso. Si moltiplicano, come ognuno di noi può constatare guardandosi intorno, i casi di una nuova attenzione al religioso come risposta a una radicale domanda di senso.
Che questa ripresa di religiosità non sfoci tutta in un visibile renoveau cattolico, mi pare evidente: è una ripresa d’attenzione, sintomo di una sensibilità che si affaccia spesso nella storia, specie nei momenti di crisi e trapasso, non una confessionalizzazione di massa.
Ricerche come quelle di Garelli (Religione e chiesa in Italia, Il Mulino), o dell’Ispes, vanno lette insieme ai dati sulle scelte maggioritarie dell’ora di religione a scuola e del finanziamento dell’8 per mille alla chiesa cattolica: la gran maggioranza della popolazione fa un’opzione, gratuita, non sfavorevole alla chiesa e, nelle inchieste citate, si dichiara credente. Ma poi sceglie comportamenti morali, sociali e politici con grande libertà di giudizio personale e, a volte, con scarsa congruenza con gli orientamenti magisteriali.
Sono aumentati di molto, parrebbe, i credenti in questi anni, un po’ meno i praticanti regolari, mentre paiono diminuire gli agnostici e quasi scomparire gli atei. Tirando le somme il clima culturale dovrebbe essere con ciò più favorevole alla chiesa, ma io continuo a ritenere che la questione non è poi così semplice e facile.
Vuoi forse dire che altri avversari ideologici stanno prendendo il posto del comunismo, nell’immaginario cattolico e in particolare delle gerarchie ecclesiastiche?
Non direi proprio questo, ma piuttosto che lo scontro e il confronto tra religione, irreligione e pseudo-religione si sposta su un terreno più sottile, lungo una linea “in interiore hominis”. In altre parole: stiamo passando dall’epoca della mobilitazione e manipolazione delle masse a quella dell’uso e della manipolazione delle coscienze. Il conflitto si sposta sempre più, almeno per l’occidente consumistico e post-industriale, all’interno della coscienza, con elementi di autenticità o inautenticità. Il cattolicesimo ha subito per primo l’ondata secolarista negli anni sessanta, e ne è alla fine, tutto sommato, saltato fuori: con varie risposte, di tipo reattivo o intimistico, e varie modalità istituzionali e comunitarie, moderate o radicali. Voglio dire che la sua lotta con questo tipo di modernità l’ha già combattuta e, in parte, superata. Dalla seconda metà degli anni settanta è la “sinistra”, intesa come progettualità riformatrice forte dei poteri e delle strutture della società, ad essere intaccata dall’assalto secolaristico.
Cosa intendi per “assalto secolaristico”? E, prima ancora, per secolarizzazione?
In questi anni si è molto usato, nel dibattito culturale, anziché il termine “secolarismo”, quello di “nichilismo”, designante l’annientamento dei valori in atto nella presente fase della modernità. I termini “secolarizzazione” e “secolarismo”, che preferisco usare, defini ...[continua]
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