Come si può situare l’esperienza di “Cultura e realtà”?
“Cultura e realtà” è una rivista che esce tra il ’50 e il ’51, e rappresenta il frutto maturo di un’esigenza comune a un gruppo di personalità in parte già giovani resistenti e appartenenti alla Sinistra cristiana che avevano aderito al Pci e che, grazie alla personalità attrattiva di Felice Balbo, uomo chiave della Einaudi, dal ’41 a Torino, poi a Roma e di nuovo a Torino dal ’46, e alla sua sodale amicizia con Cesare Pavese, decisero di sperimentare una voce culturalmente innovativa, a sinistra, ma con autonomia di ricerca intellettuale. Esperimento non facile, vista la fine de “Il Politecnico” di Vittorini qualche anno prima. Caso meno noto, le vicende di “Cultura e realtà” ripercorrono per molti aspetti quelle de “Il Politecnico”, ove Balbo aveva scritto saggi significativi.
“Cultura e realtà” vorrà rappresentare il frutto di una tensione che, insieme con Balbo, fu quella esistenziale, morale, di Cesare Pavese. Ci sono due protagonisti della rivista e questi sono appunto Balbo e Pavese. Al terzo numero la rivista chiuse, dopo aver commemorato Pavese: la sua morte non consentì, insieme ad altre cause, soprattutto l’ostilità del Pci, una sua prosecuzione in termini di libertà intellettuale.
Una storia fatta dunque di amicizie giovanili nate nella Resistenza e di una volontà militante di rinnovamento.
Sia a Torino da cui veniva, lui pronipote di Cesare Balbo, sia a Roma, Felice Balbo aveva gruppi di amici e, a Roma in particolare, c’erano gli ex compagni della Sinistra cristiana con cui aveva fatto una parte della sua Resistenza, tra cui Franco Rodano.
Una storia, precedente, e poi parallela a questa della rivista, è proprio quella della crescente crisi, di sopravvivenza e sopportazione, all’interno del Partito comunista da parte di un gruppo ex Sinistra cristiana. Di questo gruppo, concentrato soprattutto a Roma, Torino e Milano, Felice Balbo, filosofo puro, era stato, dai tempi della Resistenza, il teorico, mentre Franco Rodano ne rappresentava la guida politica. Il Partito della Sinistra cristiana, a Roma già Movimento dei cattolici comunisti, si era sciolto e gran parte dei suoi componenti era entrato nel Pci al suo V congresso, tra fine ’45 e inizio ’46, sulla base dell’entusiasmo post-resistenziale per un “partito nuovo”, non ideologico, e una “democrazia progressiva”, da costruire con gli altri, “nuovi”, partiti democratici.
Aldilà della comune prassi marxista, il Pci accettava, nel suo nuovo statuto, iscritti di ogni idea e fede. Certo ciò fu preparato da anni di lotta clandestina comune e poi da Togliatti, e da uomini come Paolo Bufalini, comunista di solida base crociana, latinista, che era stato il professore di lettere e filosofia di diversi di loro, e del gruppo dei giovani comunisti romani al Liceo Visconti. Fu il preside Carlo Piersanti, antifascista e cattolico, a chiamare il giovane laureato Paolo Bufalini al Liceo e lui si dimostrò un insegnante eccezionale: l’avvicinamento al comunismo anche di questi giovani cattolici avvenne grazie a lui. Franco Rodano era allora, fine anni Trenta, il responsabile della Congregazione Prima Primaria, fondata a Roma dallo stesso Sant’Ignazio di Lojola. Quindi una piena ortodossia cattolica, sempre rivendicata, da Rodano come da Balbo, che aveva avuto un itinerario un po' diverso: si era “ritrovato” al contempo cattolico e comunista al risveglio da una malattia contagiosa contratta in Albania.
Speranze che andarono a restringersi con l’avvento della “cortina di ferro” e la rigida contrapposizione tra campi avversi.
Nel dopoguerra prevalse tra le nuove leve comuniste, e ancor più in quelle di formazione cattolica, un discorso legato ingenuamente a ...[continua]
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