Giovanni Tassani, sociologo di formazione convertito alla storia contemporanea, è stato amico fraterno di Gianni Baget Bozzo per oltre trent’anni. Ha scritto con lui Aldo Moro, il politico nella crisi: 1962-1973, Sansoni, 1983, e ne ha curato, con Claudio Leonardi, un libro intervista, I tempi e l’eterno, Marietti, 1988, nonché la riedizione di uno scritto del ’61, Cristianesimo e ordine civile, Cantagalli, 2011. Ha lavorato su temi relativi alle culture di destra, al movimento cattolico, alla Democrazia Cristiana, come nel libro La terza generazione: da Dossetti a De Gasperi tra Stato e rivoluzione, Edizioni Lavoro, 1988.
Tu sei stato amico di Baget Bozzo e vorremmo che, a dieci anni dalla sua morte, ci parlassi di lui, un intellettuale straordinario e un protagonista della politica e della storia recente del cattolicesimo italiano, che non viene più ricordato forse per via dello stigma di essere stato consigliere di Berlusconi.
L’immagine di Gianni Baget Bozzo è in effetti rimasta schiacciata su alcuni aspetti dell’ultima fase della sua vita: cosa molto riduttiva della sua intelligenza e del suo impegno. Egli è stato -per citare anche un recente Massimo Cacciari- una delle personalità più complesse della cultura italiana del secondo Novecento, un intellettuale molto significativo, che ha saputo dialogare in ogni direzione. Quindi pare giusto salvarlo da questa riduzione ridicola di consigliere del principe, o di frequentatore pittoresco di dibattiti in tv, da Maurizio Costanzo a Ferrara e Lerner.
Allora, partiamo da lontano: dalle “sorelle Portoghesi”...
A Roma, presso la chiesa di Santa Maria in Vallicella, ove c’è l’Oratorio fondato da San Filippo Neri, appena passata la guerra, arrivarono i costituenti cattolici democristiani, Lazzati, Fanfani, La Pira e Dossetti, insomma il quadrilatero dei costituenti democristiani, e accanto a loro una serie di collaboratori, personaggi di cui si ha poca memoria, che però sarebbero diventati importanti. Nella via della Chiesa Nuova c’erano delle stanze di proprietà delle sorelle Portoghesi, zie dell’architetto, e lì alloggiavano. Erano una specie di comunità, detta del porcellino, perché all’ingresso su un tavolo, c’era un porcellino in ceramica. Gianni Baget Bozzo era uno dei più giovani di questi collaboratori ammessi con pochi altri in quel Sancta Sanctorum. Quella fu un’esperienza intensa e colpisce che sia avvenuta nel segno di Filippo Neri, uno dei più grandi santi della Controriforma, o Riforma cattolica, che corrispondeva molto alla spiritualità di quei costituenti.
Quindi in qualche modo lui ha partecipato al momento costituente?
Credo sia arrivato nella fase conclusiva del processo costituente nel 1947. Era un leader dei giovani democristiani, il più importante intellettualmente. Fu accolto da Giuseppe Dossetti e diventò redattore di “Cronache sociali” (1947-1942), il mensile dei dossettiani, rivista in cui si ritrovano tutti i temi e i problemi della democrazia di quegli anni. Si laureò a Roma con Costantino Mortati, un altro dei protagonisti della Costituente. Mortati l’avrebbe voluto suo assistente, ma a Baget la carriera universitaria non interessava. Stava inoltre maturando un dissenso da Mortati proprio sulla sua concezione della funzione centrale dei partiti, facenti parte per lui della “Costituzione materiale” della nazione, mentre Baget li vedeva come parti della società civile, non corpi interni allo Stato. Poi Baget, dopo l’esperienza dei gruppi giovanili Dc, fino al 1952, partecipò ad altre esperienze con Felice Balbo, fuoruscito dal Pci nel ‘51, con la bella rivista “Terza generazione”. La sua giovinezza Baget Bozzo l’ha in parte descritta nel libro autobiografico Vocazione e anch’io mi sono occupato molto di lui, curando tra l’altro, col suo sodale di una vita, il medievista Claudio Leonardi, I tempi e l’eterno, un libro-intervista sulla sua esperienza teologica e storica.
Tu come l’hai conosciuto?
Ho avuto un interesse precoce verso la sua figura. Diciottenne, nel ‘62, avevo comprato a rate la voluminosa antologia di “Cronache sociali”, vedendo quel nome, Baget Bozzo, che era andato firmando cose acute e bellissime di politica, interna e internazionale. Senonché, appena un anno prima, avevo notato lo stesso nome in un contesto diverso. Arrivava a mio padre, speditagli da Roma -ove era parroco di Cinecittà- da don Pietro Garbin (già fondatore dell’opera salesiana a Forlì), tanta posta e tra questa c’era “Lo Stato”, una riv
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