Goffredo Fofi, sollecitatore culturale e critico della società, dirige a Roma la rivista mensile Lo straniero.

Aldo Capitini fu filosofo, pedagogista, ma anche “politico”, teorico del liberalsocialismo e della nonviolenza. Ripercorrendo la sua biografia si incontrano tutta una serie di minoranze e di figure eretiche, fuori dalle istituzioni religiose, come dai partiti della sinistra. Un percorso biografico che è rimasto ingiustamente in ombra...
In realtà di Capitini si è parlato sempre, lui vivo e lui morto. Diciamo che il suo pensiero è rimasto inapplicato. Il suo modo di ragionare e di vedere le cose risulta estraneo ai grandi filoni della cultura italiana, sebbene egli li abbia incrociati tutti. Perché Capitini in quanto nonviolento, in quanto “libero religioso”, in quanto sostenitore dell’aggiunta religiosa all’opposizione, cioè alla politica, non è stato preso molto sul serio -salvo in rari momenti- né dai filosofi, né dai religiosi, né dai politici. E’ stato utilizzato, in determinati frangenti, da tanti, ma ha sempre mantenuto una sua differenza irriducibile, che lo rendeva ingovernabile.
Tanto per cominciare, un “libero religioso” non va bene ai cattolici, e questo per ovvi motivi. Capitini, poi, metteva in discussione Pio XII, mandava lettere al vescovo di Perugia per farsi togliere dalla lista dei battezzati. Insomma, era uno che discuteva fino in fondo le posizioni della Chiesa. Discuteva le basi stesse del cattolicesimo, criticava tutta l’impostazione ecclesiale. Come era solito dire, la colpa della Chiesa era quella di avere “monarchizzato” Gesù, di averne fatto un re.
Non era amato dai cattolici, ma non era amato neanche dai laici, perché, appunto, religioso. Perfino i suoi amici più cari, da Bobbio a Calogero, avevano delle reticenze, delle resistenze nei suoi confronti, anche molto forti. Ricordo ad esempio il discorso sulla castità: Capitini diceva chiaramente che lui aveva deciso di dedicare tutto se stesso alla “causa” (chiamiamola così), e quindi sposarsi, avere figli, avrebbe significato, ai suoi occhi, un cedimento, un compromesso. Nello stesso modo, sosteneva che la missione del sacerdozio andava assunta fino in fondo, che non era possibile pretendere di avere “la botte piena e la moglie ubriaca”... Doveva trattarsi di scelte di vita radicali. Su questi aspetti di Capitini si ironizzava sempre, perfino i suoi più grandi amici, come Maria e Guido Calogero, le battutine sulla castità non gliele risparmiavano mai.
Abbiamo visto la distanza di Capitini sia dai cattolici, che dai laici. Per quanto riguarda il terzo fronte, quello dei comunisti, non c’è dubbio che a loro Capitini è servito molto, soprattutto dopo morto. Questo è accaduto prevalentemente in Umbria. Infatti, nel contesto della povertà ideologica e politica di una regione semplice appendice di Roma e di un Partito comunista appendice del Pci romano, Capitini risultava prezioso ai dirigenti locali, che non avevano molto altro da vendere... Bene o male, potevano fare ogni anno la Marcia della pace, che col tempo diventava quasi sempre -salvo nei momenti di forte tensione esterna- una grande kermesse, con tutte quelle cose da sagra paesana e da società dello spettacolo un po’ becera, una specie di festival dell’Unità itinerante. Tutto c’era, tranne uno spirito capitiniano, o francescano, o nonviolento. Era un po’ dura da accettare da parte di chi aveva partecipato alla prima Marcia della pace, dando anche una mano a Capitini nell’organizzazione e nella diffusione del progetto.
Come dicevo, i comunisti si sono serviti di Capitini. Eppure, se esisteva qualcosa di lontano dal suo pensiero, era proprio la linea del partito negli anni della guerra fredda e anche dopo. Allo stesso modo, il Partito comunista si servì di Danilo Dolci in Sicilia. Tutto quello che era contro il sistema di potere democristiano poteva andar bene al Pci, i comunisti cercavano sempre alleanze. Ma, da queste considerazioni tattiche al prendere sul serio i discorsi di Capitini, di strada ne correva.
In definitiva, né i laici, né i cattolici (o i religiosi di altre chiese definite), né i comunisti potevano comprenderlo in pieno. In qualche modo, Capitini ha attraversato tutti questi campi -perché l’apertura la praticava davvero, il dialogo lo praticava davvero-, però da parte dei suoi interlocutori trovava solo accordi transitori e strumentali. Lo stesso accadeva sul piano teorico e filosofico. Sia Croce che Bobbio, per fare due esempi partico ...[continua]

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