Essi di solito presentano di quegli anni, o una visione edulcorata e puberale, dimentica delle contraddizioni a cominciare dalle proprie, o una visione efferata e fosca al cui interno far meglio risaltare il proprio ruolo, generalmente di migliori degli altri e in particolare dei rivali interni o esterni al loro piccolo gruppo. Visioni falsate, che non saranno certo gli storici a saper correggere perché anche loro portatori di pregiudizi, se non altro quelli della loro esperienza diretta, se c’erano, o quelli che emanano gli umori del tempo in cui scrivono, se non c’erano. Come stupirsi dunque, in questo grande scialo di piccole e grandi falsificazioni, del silenzio su alcune esperienze che non erano precisamente nella linea dei vincenti di allora (dentro il movimento), e più in sintonia semmai con l’aurorale ‘68 e con il confuso ‘77 che non con quanto ci fu in mezzo e poi dopo?
Non so molto di psicanalisi e di psichiatria, quel tanto d’obbligo, e quel che ho imparato dalla frequentazione con alcuni psicanalisti, psicologi e psichiatri (meglio: anti-psichiatri, secondo le prospettive di quegli anni) tra i quali appunto ci fu Fachinelli.
Non sono in grado di giudicare l’originalità delle sue posizioni teoriche e professionali dentro il magma delle correnti scientifiche (ed epistemologiche) e delle pratiche terapeutiche cui egli si rifaceva. Sono meglio in grado, però, di giudicare il suo apporto al movimento di quegli anni, al dibattito culturale e di conseguenza politico di tempi in cui scienza, cultura e politica ebbero la fortuna, per un tratto, di incontrarsi e fondersi in una tensione pratica, attiva, di intervento e di cambiamento. In questo senso anche Fachinelli -d’ora in avanti lo chiamerò Elvio, come è giusto per una persona che si è conosciuta da vicino e di cui si è stati amici- è un uomo di “prima del ‘68”, si è formato e presentato dentro quella ricchezza di discussioni e proposte che possiamo genericamente dire, oggi, “nouvelle vague”, pensando al fenomeno più immediato e riconoscibile che le caratterizzò, che fu cinematografico. Ma tutto mutava negli anni in cui la guerra fredda veniva sostituita dalla coesistenza, e c’era la decolonizzazione, e in Italia il boom cambiava la faccia del paese.
Mentre il boom produceva quella “mutazione” di cui oggi portiamo tutte le conseguenze e che solo Pasolini (con Volponi e Morante suoi sodali) seppe vedere con tanta immediatezza proprio perché vissuta sulla sua pelle, sul suo “corpo”, c’era però una mutazione più positiva, di cui si era -i giovani artisti e intellettuali del tempo- coscienti e portatori, chi più chi meno, e sia pur confusamente, ed era quella che chiamo appunto delle “nouvelle vagues”: dell’insorgenza del soggetto, di una nuova soggettività che dalle arti e da certi settori della cultura e della scienza (la psicanalisi e psichiatria tra i primi e pour cause!) doveva trasferirsi nei movimenti giovanili degli anni Sessanta, prima negli Usa e poi altrove, proprio perché riguardava complessivamente tutta una generazione finalmente liberata dai ricatti della guerra fredda e dello schieramento rigido dentro logiche ideologico-particolaristiche aridissime e bloccanti, che rispondevano a logiche di potere e non di verità.
Conculcata negli anni Cinquanta, la soggettività giovanile esplose via via dalla seconda metà degli anni Cinquanta in espressioni artistiche dentro le quali il singolo sapeva di far parte di un più grande movimento, e volentieri cercava ...[continua]
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