Partirei dal concetto di rivoluzione in Cassola. Questi considera il disarmo come la forma più radicale di rivoluzione.
Carlo Cassola ritiene che la rivoluzione più nuova e più incisiva della storia sia precisamente quella disarmista, cioè basata sul (su un “primo”) disarmo unilaterale. Ma un tale tipo di rivoluzione non potrebbe mai derivare, comunque, da una terza guerra mondiale. Cassola ripete più volte che dopo Hiroshima -cioè dopo l’“inaugurazione”, per dire così, “ufficiale” del nucleare bellico- un conflitto mondiale non potrebbe portare che alla distruzione della “madre Terra” (per usare un’espressione di Arnold J. Toynbee). In questo caso, non sarebbero più possibili guerre, né rivoluzioni, né iniziative di ogni genere da parte dell’umanità. Perché semplicemente, secondo Cassola, questa avrebbe cessato di esistere. Tutte le guerre del passato -compresi i due ultimi conflitti mondiali- se non altro, non “conoscevano” il nucleare col suo potere (pressoché) totalmente distruttivo. L’ultima guerra mondiale fu “solo” conclusa, “troncata” dalla bomba di Hiroshima: della cui esistenza, d’altra parte -ricorda Cassola- almeno uno dei vincitori (riunitisi a Yalta otto mesi prima dell’esplosione), Franklin Delano Roosevelt, era a conoscenza. E (mi permetto di citare dal mio Narrativa e ragione rivoluzionaria. La filosofia pacifista di Carlo Cassola), l’esplosione della prima atomica su Hiroshima, nel 1945, “voleva dire una sola cosa: o la fine della divisione del mondo, o la fine del mondo”. Poco importa, a questo punto, che l’utilizzo dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki fosse stato ordinato “non per salvare vite americane e non solo, come recita la storia ufficiale, ma per conseguire due obiettivi strategici: costringere il Giappone ad arrendersi agli Usa prima che l’Urss partecipasse alla sua invasione penetrando nel Pacifico; acquisire una netta superiorità militare sull’Urss e tutti gli altri paesi”. Fu appunto questa l’origine della “corsa agli armamenti nucleari”.
Credo sia almeno dubbio che Cassola potesse considerare la guerra -ogni guerra- “ostetrica” della storia. Le guerre, in breve, per lo scrittore sono (sempre state) dovute alla divisione del mondo in stati sovrani armati, e funzionali al mantenimento di questa situazione; quando, per lui, l’obiettivo del mondo sarebbe dovuto essere la federazione degli stati, e gradualmente l’unione di tutti i popoli: unica condizione per garantire la kantiana pace perpetua che eliminerebbe ogni angoscia sul destino dell’umanità. Cassola è un disarmista convinto anche che “prima o poi le armi finiscono con lo sparare da sole”, e le guerre si fanno appunto con le armi. La sola eccezione per un loro uso è quando lo scopo è la liberazione da un aggressore, la sconfitta di un nemico “incompatibile” con la sopravvivenza dell’umanità, o almeno di gran parte di essa; come nel caso della lotta contro il nazifascismo.
A proposito delle guerre svoltesi finora, e di quella che potrebbe attenderci, vale la pena citare anche un contributo di Ernesto Balducci in l’Asino, il mensile della Lega per il disarmo unilaterale, sulla consapevolezza che in passato, “la guerra accadeva in un teatro che, finita la rappresentazione, tornava a ospitare opere di pace”. Invece, nel periodo attuale, cioè nell’“era atomica la guerra mette in forse anche il teatro”: che è “addirittura il teatro-pianeta”.
Intrecciata alla questione della rivoluzione è la teoria dello Stato. Cassola, al proposito, elabora la singolare teoria del “potere statale anarchico”, fase transitoria necessaria per raggiungere l’obiettivo rivoluzionario, ossia il disarmo totale. Una volta attuato il disarmo, verso quale tipo di organizzazione -statuale o non-statuale- avrebbe dovuto evolvere, secondo Cassola, la società?
La questione del “potere statale anarchico” ipotizzato da Carlo Cassola si ricollega naturalmente a quelle precedenti: delle quali mi concentro sull’aspetto della sostanziale delusione provata dallo scrittore per il “fallimento” delle rivoluzioni (compresa quella cinese), e delle loro consegue ...[continua]
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