Come sono diventato un matematico? E’ difficile rispondere. Ricordo che da piccolo leggevo molte enciclopedie. M’interessavano soprattutto le voci di chimica, elettronica, un po’ meno la biologia… Quando arrivavo alle pagine di matematica, non riuscivo a capire niente, rimanevo incuriosito e spaventato. capivo che non bastava passare del tempo sopra i libri per capire le cose, occorreva fare certi sforzi. A quell’età non ero pronto a farli, però promisi a me stesso di ritornare su quei problemi, una volta che avessi imparato come leggerli. Probabilmente sono diventato matematico per un senso di sfida nei confronti di qualcosa di difficile. Questa è la motivazione più infantile, poi ce ne sono state altre, umanamente più importanti, forse più profonde.
Sicuramente ammiravo mio nonno, che era un matematico ed anche un bravo pianista. Mi chiedevo: “Ma come fa a tirare fuori queste melodie da 80 tasti, con quelle mani da vecchio? Sicuramente ha qualcosa che io non ho”. Guardando le sue pagine di matematica mi veniva il desiderio di capire che cosa creasse tutto questo. Ciò accadeva suppergiù ai tempi del liceo.
Più tardi, verso la fine degli studi, arrivò l’incontro con Vinogradov. Io non l’avevo mai visto prima. Un giorno, mentre ero in classe che aspettavo, è entrato un uomo grande, coi capelli bianchi, rimasi impressionato dalla sua possanza, e dopo scoprii che era proprio quel famoso professore russo.
Per la prima volta dopo tanto tempo ammirai una persona per quello che era. Probabilmente stavo studiando matematica per diventare informatico, forse per entrare in un’azienda, per fare soldi, per avere un’automobile, non so… Vedendo questa persona desiderai qualcosa che non si poteva avere… qualcosa che bisognava essere.
Qualche anno più tardi, ad una scuola di “alta matematica” (si chiamano così) a Cortona, c’era un altro professore russo che teneva dei corsi; arrivava a lezione tutto affaticato. “Forse il vecchietto non ce la fa a salire le scale” -pensavo io- poi scoprii che tutte le mattine andava a farsi un’ora di corsa; gli dissi: “Vorrei venire con lei”. Non dico che me ne pentii, ma scoprii che il professore correva per 12 kilometri in salita. Lui mi diceva: “Non ti preoccupare, tra poco arriva la pianura”, ma la pianura non è mai arrivata. Queste sono alcune delle esperienze che piano piano, su livelli differenti, hanno cementato la mia dedizione a questa disciplina, o forse arte, scienza, non so come chiamarla.
Perché ho scelto la geometria? E’ una domanda complessa… Se penso alle origini dell’uomo, io la vedo così: la matematica è entrata nella storia molto prima della scrittura, quando il pastore doveva contare le pecore che tornavano nel recinto. La necessità era di non perdere il bestiame. Quando le pecore uscivano, lui intaccava un albero, una pietra, e la sera per ognuna che rientrava magari cancellava, metteva un altro segno, e se i segni coincidevano era contento perché voleva dire che nessuna bestia si era persa. Quando il problema fu quello di misurare quanta terra possedeva, forse in un primo momento l’uomo pensò di misurarla allo stesso modo: prendeva un lenzuolo di pelle, lo appoggiava per terra ripetutamente e contava: ho tremila lenzuoli di terra.
Qual è l’inconveniente di questo procedimento? Che se un’alluvione cancella i limiti territoriali, e dopo l’alluvione l’uomo ricomincia a mettere i suoi lenzuoli a terra per ricostruire il proprio possedimento, si accorgerà di sconfinare nella terra del vicino, il vicino si arrabbierà, lui dirà che ha fatto le cose per bene, ha contato i suoi lenzuoli, né uno in meno né uno in più, litigano. Ma la colpa non è di nessuno.
La colpa sta nel fatto che il contadino ha usato un linguaggio non sbagliato, ma inadeguato per descrivere il suo problema, nel senso che il numero, lo strumento matematico più elementare, va bene per descrivere un gregge, ma non va bene per descrivere un pezzo di terra, perché non riesce a formalizzare quel concetto aggiuntivo che è la forma: ossia, ci possono essere due appezzamenti di terra della stessa estensione, ma di forma completamente diversa.
Quindi, il numero non riesce a memorizzare la forma. Il numero no, ma il contadino sì. Ad esempio, avrebbe potuto ricordarsi che, uscendo dalla propria abitazione, in qualsiasi direzione andasse, gli bastava fare cento passi per raggiungere il limite del suo territorio: se avesse ricordato q ...[continua]
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