Leggendo il tuo libro sorprende l’intreccio, anche sentimentale, che hai saputo creare tra le esistenze di alcuni importanti militanti anarchici e la storia delle loro carte e biblioteche personali. Mi sembra che la precarietà dei percorsi individuali -segnati soprattutto dall’opposizione intransigente al fascismo- trovi riscontro nella dispersione e nel difficile recupero delle loro raccolte documentarie.
Devo premettere che, nella maggior parte dei casi, i militanti del movimento anarchico non hanno mai prestato particolare attenzione a preservare una testimonianza duratura della loro attività, e questo per motivi facilmente intuibili. Intanto, come dicevi tu, una vita spesso precaria. Si tratta di persone continuamente sottoposte a perquisizioni, con sequestro di oggetti personali, e che spesso prendevano la via dell’esilio, spostandosi quindi frequentemente da una città all’altra e da un paese all’altro. Poteva capitare, durante l’esilio antifascista, che le carte venissero considerate perfino una zavorra. Era difficile mantenere intatta una raccolta, una biblioteca, nel corso di esistenze di questo tipo. Oltre a ciò, in molti casi, non c’era neppure la consapevolezza che conservare una memoria storica significasse anche dare fondamento alla propria identità politica. E questo probabilmente perché, per un movimento votato alla trasformazione radicale dell’esistente, tale aspetto rimaneva inevitabilmente in secondo piano. Accadeva, così, che opuscoli o riviste militanti dopo qualche mese scomparissero anche dagli scaffali delle sedi politiche del movimento: si preferiva distribuirle fino all’ultima copia, in nome della propaganda e dell’obiettivo rivoluzionario. Paradossalmente, oggi, agli storici succede spesso di trovare alcuni opuscoli e numeri unici solo negli archivi della polizia, perché nessun militante anarchico pensò di metterli da parte o riuscì a conservarli.
Tuttavia ci sono alcune singole personalità, che costituiscono eccezioni all’interno del movimento e che svilupparono uno spirito bibliofilo. Tra questi, ad esempio, Luigi Fabbri e Pier Carlo Masini e, sul piano internazionale, sicuramente Max Nettlau.
Nella bella biografia che Luce Fabbri ha scritto del padre, si ricorda in modo divertente che quando Luigi prendeva il suo stipendio da maestro elementare -siamo negli anni prima del fascismo, quando la famiglia Fabbri viveva tra Bologna e Corticella- la prima cosa che faceva era andare con Luce nella libreria antiquaria Veronesi, sotto il Pavaglione, vicino a piazza Maggiore, per comprarsi un libro. Era una "escursione” rituale, che si ripeteva ogni fine mese. Il bello è che -come racconta Luce- il padre cercava di reprimere questo spirito bibliofilo, sembrandogli una cosa irragionevole coltivarlo, per lui che era un militante politico anarchico; ma quando trovava una bella edizione, magari rara, per arricchire la sua biblioteca, ecco che un sorriso gli usciva e gli illuminava il volto. Negli anni bolognesi, Fabbri iniziò a mettere in piedi la sua raccolta. Per la maggior parte non erano libri acquistati, ma pubblicazioni che arrivavano alla sua rivista, "Il Pensiero”, sulle colonne della quale Fabbri recensiva decine e decine di libri. Era un lettore formidabile e scriveva con facilità. Più tardi, poi, nel 1926, con l’inasprirsi del regime fascista, arrivò la decisione di lasciare l’Italia, per raggiungere prima la Francia, poi l’Uruguay, stabilendosi infine a Montevideo…
E in questi spostamenti, le sue carte?
Dunque, già nel periodo dell’avvento al potere del fascismo, di fronte alle spedizioni dei fascisti bolognesi, Fabbri tremava al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere alla sua biblioteca, oltre che per le preoccupazioni relative all’incolumità della sua famiglia.
Era a repentaglio tutto quello che aveva raccolto. Al momento di espatriare, nel ’26, lasciò il suo patrimonio documentario a Torquato Nanni, avvocato romagnolo, suo eterno amico (aspetto curioso, questo, in quanto Nanni, che era di estrazione socialista, si era però avvicinato al regime fascista). Fatto sta che la biblioteca di Fabbri restò per quasi vent’anni nella casa di Nanni, a Santa Sofia, sull ...[continua]
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