Possiamo parlare del pensiero e della figura di Ferdinando Tartaglia?
Ferdinando Tartaglia è una persona indubbiamente insolita da conoscere e studiare. Per accennare brevemente alla sua biografia, pare che lui fin da bambino sentisse questa vocazione religiosa molto forte, osteggiata dalla famiglia, fino a che riuscì comunque a entrare in seminario e compiere il normale iter, studiare teologia, laurearsi, diventare sacerdote, ecc.
Ben presto emergono però degli attriti nei confronti dell’istituzione, che esploderanno in forma palese nell’immediato secondo dopoguerra, quando, insieme a Capitini, animerà quell’esperienza, per certi versi unica, del Movimento di Religione, che raccoglierà quelle minoranze che non riuscivano a trovare spazio in nessun altro contesto.
Nel Movimento di Religione troviamo teosofi, anarchici, internazionalisti, quaccheri, vegetariani; un mondo molto variegato che discuteva, ragionava sull’essenza della domanda religiosa e sul rinnovamento della religiosità. Tartaglia rappresenterà la componente più radicale rispetto a Capitini, il quale, pur nella sua radicalità, era disposto a mediazioni. Tartaglia invece è quello della non mediazione, della immediatezza, sia nel suo insegnamento che nella sua pratica. Atteggiamento che gli varrà la scomunica.
Credo sia l’ultimo scomunicato vitando nella Chiesa, perché, in seguito, il Concilio Vaticano II abolirà dal diritto ecclesiastico questa forma di scomunica (che prevedeva la sua estensione a chiunque frequentasse lo scomunicato. Ndr.). Lui continuerà a operare per un breve periodo, per poi ritirarsi nel silenzio fino alla morte. Con un’unica interruzione, tra gli anni ‘50 e ‘60, quando aprirà a Firenze il Centro per la Realtà Nuova e pubblicherà anche un libro che poi però non distribuirà, perché evidentemente non era soddisfatto.
Il pensiero di Tartaglia è estremamente arduo e complesso, ma può forse essere sintetizzato, anche se in maniera impropria, in questo modo: immaginiamoci com’è oggi il mondo, quali sono le varie interpretazioni e spiegazioni che ne vengono date, siano esse di tipo scientifico, sociologico, religioso, politico; bene, azzeriamo tutto e prospettiamo una novità che vada oltre tutti questi riferimenti.
Ecco, nella sua proposta, primeggia questa idea della novità pura, del puro dopo. Una tensione che per meglio essere compresa dev’essere contestualizzata storicamente. Parliamo infatti dell’immediato dopoguerra, cioè del periodo che segue la catastrofe della seconda guerra mondiale, segnata da comportamenti -in termini di distruzioni di massa, di barbarie e brutalità- che l’uomo mai aveva messo in atto fino ad allora. L’anelito di Tartaglia era allora di allontanarsi da quell’incubo, ma per farlo occorreva una svolta totale, un rivolgimento completo, una conversione radicale. Solo così si poteva offrire all’umanità una prospettiva di uscita da quel baratro che era stata la guerra.
Tartaglia era anche un personaggio estremamente tormentato. Se leggiamo i suoi scritti, c’è un costante riferimento alla provvisorietà di quanto andava dicendo. Ripeteva sempre: "Questo andrebbe riformulato, ripreso, detto meglio”. La vicenda di quella sua pubblicazione, ritirata subito dopo l’uscita per non farla circolare, è emblematica.
Sergio Quinzio, che gli era stato vicino e amico per molti anni, a un certo punto gli aveva proposto di pubblicare i suoi scritti presso Adelphi, quindi un editore grosso, ma lui rifiutò. Le poche cose che possiamo leggere di Tartaglia sono disperse su vecchie riviste o uscite postume.
Tra l’altro lui aveva fama di essere un grafomane. Si dice abbia lasciato decine di migliaia di pagine inedite. E anche qui con l’indicazione del distruggerle, cosa che la moglie non ha fatto (abbandonato il Movimento di Religione, Tartaglia si era ritirato, aveva viaggiato per l’Europa e aveva anche preso moglie, da cui poi si era separato). I suoi scritti sono ora conservati all’Archivio di Stato di Firenze.
Il suo stile e il suo linguaggio erano anch’essi originali…
La sua scrittura è interessante anche ...[continua]
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