Riccardo Zoja è professore ordinario di Medicina legale e delle assicurazioni alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato, tra l’altro, La medicina difensiva. Questioni giuridiche, assicurative, medico-legali (con Umberto Genovese, Paolo Mariotti, Antonio Serpetti e Andrea Ferrario), Maggioli 2011.

Dopo che il fenomeno si è diffuso negli Stati Uniti, anche in Italia si comincia a parlare di "medicina difensiva”. Può spiegarci intanto il significato di quest’espressione da noi ancora poco conosciuta?
È una definizione che si è piano piano consolidata per indicare gli aspetti non scientificamente motivati che influiscono sull’agire medico per finalità differenti da quelle di interesse diretto del paziente. Queste istanze sono prevalentemente connesse ai rischi che i medici corrono, di ripercussioni legali nei loro confronti, in relazione ad evenienze indesiderate che possono verificarsi nella clinica e che vengono percepite come ingiustizie.
Il concetto di medicina difensiva si è lentamente affermato come criterio prima di tutto psicologico, ma poi anche in termini più concreti. Sul piano psicologico indica un approccio al paziente che, nel ragionamento clinico, tiene in considerazione, come primo elemento di giudizio, non tanto l’applicazione di evidenze scientifiche, quanto ciò che può succedere di indesiderato e che può ripercuotersi sul medico stesso come contestazione sul suo operato. Atteggiamento ben comprensibile alla luce della straordinaria enfatizzazione che negli ultimi decenni si è data al rischio in sanità, alla percezione del possibile errore e del verificarsi di una condotta medica non corrispondente a quella attesa. Questo è un primo punto di inquadramento generale.
L’atteggiamento che va sotto il nome di medicina difensiva è stato presto connotato da una duplice specificazione. La prima è un’azione in positivo ovvero un’applicazione su un paziente di un eccesso di approcci clinici, indagini ed analisi biologiche, che scientificamente non avrebbero alcun motivo di essere attuate, che vengono prescritte esclusivamente perché si pensa che, se non lo si facesse, la percezione da parte del paziente sarebbe di non avere avuto l’attenzione dovuta. Quindi una divergenza tra quello che le conoscenze cliniche suggeriscono e quello che il medico fa per motivi che non sono finalizzati all’interesse del paziente, ma esclusivamente alla copertura di un rischio, alla tutela da possibili contestazioni successive.
L’altro aspetto invece è quello in senso negativo, cioè la rinuncia a curare delle persone che presentano delle condizioni patologiche con un alto tasso di rischio che si verifichino evenienze indesiderate. Per esempio, una persona che ha seri problemi cardio circolatori e che avrebbe indicazione ad un intervento chirurgico di un certo impegno per una patologia di una grossa articolazione con rilevanti rischi anestesiologici può ben rappresentare un caso emblematico: a fronte del rischio di eventi non desiderati (seppure previsti) si sceglie di non intervenire, lasciando il problema articolare, piuttosto di doversi confrontare con la possibilità di conseguenze sfavorevoli, con le contestazioni rispetto alle stesse e con le sequele di tutto ciò che vi è connesso.
Quali sono i costi per la collettività della medicina difensiva? A gennaio alcuni quotidiani hanno riportato dati allarmanti: dieci miliardi di euro per farmaci e diagnostica non necessari...
Come si è capito, la medicina difensiva pone innanzitutto un grave problema sul piano dell’allocazione delle risorse. Perché, nella sua connotazione positiva, si associa necessariamente ad una spesa sanitaria molto più rilevante rispetto a quello che è ammissibile secondo criteri di razionalità clinica; e le cause sono influenze esterne, non scientifiche o mediche, bensì spesso connesse con il timore di un’azione legale oppure con decisioni giurisprudenziali.
Supponga che per un banale trauma tutta la letteratura scientifica dimostri come non vi sia alcun vantaggio nell’eseguire una determinata radiografia o una Tac; ma poi capita un caso nel quale quella radiografia o quella Tac, non fatte, avrebbero potuto rivelare una frattura o un qualsiavoglia particolare e, magari, da quella diagnosi sarebbe derivata una cura più precoce con conseguenze più favorevoli per il paziente. Il fatto che quel medico vada incontro, per questo, anche semplicemente ad una contestazione (e magari a ...[continua]

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