Vorremmo parlare con te del dibattito sorto attorno alla gestazione per altri e, per cominciare, dell’esistenza o meno di un "diritto di fare figli”.
Ho l’impressione che il rifiuto di un preteso "diritto al figlio” sia una strategia retorica usata da chi vuole in effetti proibire agli altri cittadini di avere figli e di formare famiglie nel modo che più preferiscono. Non esiste un "diritto al figlio”, naturalmente. Ma esiste, esiste eccome, un diritto all’accesso libero, cioè paritetico, alla procreazione. Non posso decidere che gli abitanti di un dato gruppo etnico, per esempio, non abbiano accesso alla procreazione assistita. Il tentativo di stabilire quali categorie sociali hanno diritto a riprodursi si chiama eugenetica, e ha portato a scelte tragicamente inique, come la sterilizzazione di massa delle minoranze anche in diversi paesi occidentali. Oggi le nuove tecniche di procreazione assistita rinnovano in noi la tentazione di farci arbitri della vita altrui, decidendo chi può e chi non può. Ma è molto, molto difficile proibire a una qualsiasi categoria di persone di avere figli. Anche come sanzione penale è praticamente inesistente. Certo, in Italia abbiamo una legge (la 40/2004) che permette solo alle coppie eterosessuali di provare ad avere figli con la procreazione assistita, ma è una legge ingiusta, ormai crivellata dalle sentenze dei tribunali, e intanto il resto dell’Occidente va nella direzione opposta. Ognuno può pensarla come vuole, per esempio, sull’opportunità che una donna single oppure una coppia di donne abbiano un bambino; ma la scelta è unicamente loro, per fortuna. Hanno il diritto di scegliere da sole.
Ma laddove, appunto, scienza e tecnologia ci permettono di allargare le nostre possibilità, fin dove possiamo spingerci, dove ci fermiamo? Penso all’ipotesi di poter allora scegliere anche il sesso del nascituro, ad esempio, fino alle possibilità offerte dall’eugenetica. Ecco, dove mettiamo il limite?
La storia delle strutture familiari e delle pratiche riproduttive è costellata di "limiti invalicabili” che in realtà sono tali solamente per la storia del costume. Fino a qualche decennio fa i figli unici, i figli di separati, le donne che si sposavano dopo i trent’anni, e altre categorie ancora, erano vittime da commiserare.
Oggi viviamo in società plurali, policentriche, con percorsi di vita ibridi e imprevedibili. Io penso però che un limite ci sia e debba esserci, anzi due limiti: la tutela della libertà e il rifiuto della reale sofferenza delle persone. Per vietare certe forme di procreazione (e in generale tutte le scelte relative alla sfera più intima, familiare e riproduttiva) occorre dimostrare che porteranno sofferenza. E non è facile riuscirci.
Io, per esempio, non avrei mai scelto il sesso dei miei figli, ma penso che chi sa di essere femmina perché i suoi genitori volevano una femmina non si sentirà necessariamente più a disagio di chi sa di pensare in francese perché i suoi genitori gli hanno fatto studiare il francese da piccolo, o sa di essere biondo perché a sua madre piacevano i biondi. Nel caso della gestazione per altri, sappiamo che i bambini crescono bene, sereni, né più né meno dei loro coetanei; oltre alla mia esperienza (ne ho visti nascere circa centocinquanta) ce lo dicono gli studi di esperti come Susan Golombok.
Forse occorre porre limiti agli aspiranti genitori in età davvero avanzata... Ma mi ha sempre colpito la storia di Michel Petrucciani, il grande pianista jazz, portatore di una malattia ossea ereditaria che l’ha ucciso a 37 anni. Sembra che Petrucciani sapesse che un suo figlio aveva il 50% di possibilità di ereditare il suo male. Ha deciso ugualmente di avere figli, e Alexandre è nato con la patologia del padre. Ma a quanto ho letto, è un giovane uomo intelligente, creativo, equilibrato, e molto felice di essere vivo… In sostanza credo che su queste scelte si debba soprattutto dare libertà e fare cultura. Trasmettere un certo modo di pensare la procreazione, in cui entri, per es ...[continua]
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