La Gran Bretagna se ne va e negli Stati Uniti c’è Trump, che succede?
Per moltissimi lavoratori c’è la sensazione diffusa di non avere più il controllo sulle proprie vite e questo provoca reazioni locali che vanno nelle direzioni più diverse, ma Boris Johnson in Gran Bretagna, Donald Trump negli Stati Uniti e Marine Le Pen in Francia sono l’espressione politica del tentativo di riprendere il controllo sulle nostre vite dopo i disastri che 40 anni di neoliberalismo ci lasciano in eredità. C’è un rapido dissolvimento dei sistemi politici tradizionali: non solo il 52% degli inglesi ha votato per uscire dall’Europa ma il 48% degli americani voterà per Trump.
Tutti si concentrano sul fatto che Trump è un personaggio orribile…
Occorre distinguere gli aspetti spettacolari e folcloristici dalle questioni di fondo. Quest’anno c’è stata la novità, mai avvenuta prima, di un imprenditore esterno ai partiti, che, attraverso il meccanismo delle primarie, conquista un partito e ne diventa il candidato alle elezioni presidenziali. Il precedente del 1992, di un altro milionario, il texano Ross Perot, che si presentò come indipendente, era diverso perché era un "terzo” candidato, non il rappresentante di uno dei due partiti maggiori. Perot ebbe un successo rilevante, ottenendo quasi 20 milioni di voti, il 18,9%, ma rimase molto lontano dai candidati ufficiali dei due partiti (42,3% Clinton e 37,4% Bush padre). Quest’anno invece Trump ha conquistato la candidatura del Partito repubblicano, un partito che ha fatto tutto quello che poteva per tagliargli la strada, senza riuscirci.
È il sintomo di un forte indebolimento del tradizionale assetto del sistema politico degli Stati Uniti, che avviene in modo simile in molti paesi europei. Giusto qualche esempio: non c’è solo la Gran Bretagna, in Austria il candidato dell’estrema destra ha preso il 49,7% dei voti, e tutti hanno tirato un sospiro di sollievo perché un onesto signore dei verdi, Alexander Van Der Bellen, alla fine è stato eletto per 31mila voti di scarto. Ma io rifletterei sul fatto che nessuno dei due partiti principali -popolari e socialisti- è riuscito ad arrivare al ballottaggio, che il sistema politico che aveva retto il paese dal 1945, per 70 anni, è in uno stato di palese disfacimento.
Negli Stati Uniti una cosa del genere sembrava impossibile perché il sistema è non solo solido ma anche controllato, rodato, oliato dai contributi, diventati una valanga incontrollabile in seguito alla sentenza della Corte suprema Citizens United del 2010 che, equiparando i contributi finanziari alla libertà di parola, ha stabilito che non potevano essere limitati in nessun modo. Anche se questo non significa sempre che chi ha più soldi vince (per esempio Jeb Bush ha ottenuto risultati pessimi nelle primarie del Partito repubblicano di quest’anno) sta di fatto che il sistema nel suo complesso dipende dalle oligarchie che lo finanziano, ciascuna delle quali ha il suo riferimento o nel Partito repubblicano o in quello democratico. Non solo: in un sistema così strutturato c’è una forte tradizione di famiglie politiche che si autoperpetuano; il Partito democratico trova un candidato che è la moglie del Presidente già stato alla Casa bianca dal 1993 al 2001, mentre il Partito repubblicano puntava su Jeb Bush, fratello di un ex presidente che è anche figlio di un altro ex presidente. Il governatore di New York Andrew Cuomo è figlio di un altro governatore di New York, Mario Cuomo: che siano buoni o cattivi, democratici o repubblicani, non importa.
Recentemente, il filosofo Michael Sandel ha detto che uno dei più grandi fallimenti dei partiti tradizionali è stata l’incapacità di prendere sul serio l’aspirazione della gente di poter dire la loro sulle forze che governano le loro vite. È palese che l’idolatria del mercato condivisa dai due partiti ha negato e soppresso proprio questa aspirazione.
Come si spiega il successo di Trump?
Trump è un personaggio che ha avuto successo puntando sfacciatamente sulla xenofobia, in particolare con due proposte, nessuna delle quali minimamente realizzabile: la prima è quella di costruire un muro contro l’immigrazione clandestina al confine col Messico; qualcuno ha fatto i conti ed è un progetto da miliardi e miliardi di dollari, essendo alcune migliaia i chilometri di confine, e per di più Trump sostiene che questi soldi li dovrebbero pag ...[continua]
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