Per un paio d’anni, alla Libera Università delle Donne di Milano, un gruppo di donne si è incontrato per parlare della vecchiaia. Potete raccontare?
Marina. Il gruppo è nato su sollecitazione di Lea Melandri; dopo l’uscita del mio libro L’età in più è stata lei a propormi di organizzare un gruppo sulla vecchiaia. All’inizio io, che consideravo quel libro come un fatto molto personale e il processo di invecchiamento un processo individuale e singolare, ero un po’ incerta, ma poi mi sono convinta che poteva essere bello e utile mettere in comune i pensieri. Così ho fatto girare un po’ di mail e nel giro di poco tempo si è costituito questo gruppo di una ventina di donne. Ci siamo riunite da novembre 2013 a maggio 2015 con una presenza costante e anche puntuale. Devo dire che fin da subito c’è stata un’adesione molto forte. Molte donne hanno subito riconosciuto la necessità di uno scambio, di un confronto. Dall’altra parte è emersa fin da subito anche una specie di paura, di resistenza di fronte alla parola "vecchiaia”. Anche l’altro giorno durante una presentazione una signora ha detto: "Per carità, questo termine è terribile, perché avete usato quella parola?”.
C’è una specie di pregiudizio verso questo termine; allora se ne inventano altri, come appunto "senior” al posto di anziano, o, come propone Laura Balbo, "post-adulto”. Io invece ho molto rivendicato l’uso di questa parola perché ho l’impressione che una certa intolleranza per la propria vecchiaia, questa difficoltà a definirsi vecchi, segnali un’intolleranza verso la vecchiaia degli altri.
Qual è stato il vostro percorso?
Marina. Parliamo di venti donne dai 60 ai 78 anni. Abbiamo intanto preso consapevolezza dell’esistenza di fasi molto diverse: i sociologi oggi parlano di "giovane vecchiaia”, "media vecchiaia”, e "grande vecchiaia”. Noi ci siamo concentrate sul periodo dell’invecchiamento, cioè dell’incontro con la vecchiaia, che, a mio parere, è il periodo forse più forte, più inquieto, perché vai incontro a qualcosa che non conosci, e questo genera molto turbamento. Il nostro percorso è stato proprio sul filo dell’indagine su questa inquietudine, che abbiamo cercato di guardare da vicino. Perché tu passi da una fase in cui pensi di essere padrona di te stessa, della tua autonomia, della tua indipendenza, eccetera, a una fase in cui intravedi la minaccia di caduta nell’impotenza, magari reale o magari immaginata.
Ecco, potrei dire: ci siamo messe in ascolto, non solo con le orecchie ma con l’anima, sperimentando una modalità che potrei chiamare di com-passione, e cioè di condividere la passione.
è stata un’indagine per capire quali potessero essere gli strumenti per affrontare l’inquietudine che si prova quando ci si inoltra in un territorio sconosciuto, inabitato e all’apparenza inabitabile perché spesso ci viene rimandato dall’esterno come un tabù (la vecchiaia come negazione della giovinezza, come "negativo”). Questo all’interno di uno scenario basato sull’idea che l’esistenza alla fine sia caratterizzata da un’incessante metamorfosi per gestire la quale non ci sono modelli. Ma in un certo senso la nostra generazione è caratterizzata dall’essere senza modelli, senza modelli nella nostra vita adulta, senza modelli anche ora. Siamo donne in ricerca.
I primi incontri li abbiamo dedicati a capire chi eravamo: l’età, il lavoro, il non-lavoro, le aspettative... Dopodiché abbiamo cominciato a lavorare sulle perdite, ma anche sui piccoli guadagni, quelli che abbiamo chiamato, riprendendo il titolo del libro di Françoise Héritier, "il sale della vita”.
Abbiamo affrontato anche il tema delle relazioni in famiglia: i figli, le amiche, gli amici, e ovviamente il tema della ...[continua]
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