Il "peccato originale" alla base dell’avversità della Chiesa nei confronti degli ebrei è riconducibile all’accusa di deicidio?
Contrariamente a quello che si può pensare, l’accusa di deicidio, almeno in quanto costruzione sistematica della sua idea, è abbastanza tarda. Così sostiene, ad esempio, lo storico Jeremy Coen, che ha dedicato degli studi all’accusa di deicidio nella formazione dello stereotipo dell’ebreo. Essa va fatta risalire ai tempi della prima crociata, momento in cui la società cristiana è di nuovo concentrata, dopo tanto tempo, sul problema dei luoghi santi, della messa a morte di Gesù. Ovviamente, la questione del deicidio è presente anche nei testi cristiani, nella patristica, ma senza una particolare insistenza su questa accusa. Il suo rilancio e il suo potenziamento appartengono ad un nuovo rapporto con la visione di Cristo e con tutta la tradizione cristiana. Nei testi precedenti a questo periodo -per esempio in un libro francese dell’ottavo secolo, il cui autore era un vescovo famoso per essere uno dei più avversi agli ebrei, Agobardo di Lione- l’accusa principale riguarda il non aver voluto accettare il messia, quindi l’incredulità rispetto alla figura di Cristo, e non l’accusa di deicidio. L’emergere in un’età così tarda di tale accusa è allora interessante per ribadire che questa costruzione antisemita è un processo interno alle necessità del cristianesimo.
Come si spiega il riemergere, dopo tanto tempo, di questa accusa?
In realtà, il processo accusatorio non viene mai del tutto interrotto. Lo si può riscontrare un po’ ovunque: in San Paolo, nei Vangeli, e anche successivamente. Solo che all’inizio su questo punto non viene posta molta enfasi. Quando, con la prima crociata, ritorna con forza l’idea di andare a riconquistare i luoghi della vicenda di Cristo, quando la Chiesa ha bisogno di sottolineare e mettere al centro della sua liturgia la passione di Cristo, il deicidio diventa rilevante nelle accuse contro gli ebrei.
Che ruolo ebbe S. Paolo?
Paolo, nel ruolo di fondatore del cristianesimo, sente l’esigenza di staccarsi, di differenziarsi dall’ebraismo, ossia di porre la sua dottrina come sostitutiva del patto con Dio e come instauratrice del nuovo patto. Questo è il nodo centrale della nascita del cristianesimo. Però Paolo è una figura ambivalente. La Lettera ai romani, infatti, è anche il fondamento teorico, poi ripreso da Sant’Agostino e dal diritto canonico, della presenza ebraica in seno al mondo cristiano. Questo è un aspetto rilevante, perché la Chiesa ha sempre convertito gli infedeli con la forza, con la spada, non ha mai concesso una presenza di infedeli al suo interno, fatta eccezione per i musulmani, e solo in determinate aree. Invece, sulla base del diritto romano prima, e del diritto canonico più tardi, viene accettata appunto la presenza ebraica. Allora la Lettera e i testi di Agostino diventano punti fondamentali per accettare questa "intrusione". In Paolo, tuttavia, sono presenti anche i segni di una tradizione nuova, rimasta minoritaria, ostile agli ebrei, che è contenuta nella Lettera ai Galati e nella Lettera ai Corinzi. In questi testi Paolo, in un contesto di comunanza ebraico-cristiana (anche se c’erano forti polemiche sul mantenimento della ritualità ebraica, sulla circoncisione), sostiene con una frase, che successivamente è stata ripresa anche con violenza dalla tradizione antiebraica, che basta poco lievito per far lievitare tutta la pasta. Quindi è sufficiente un piccolo elemento di ebraismo, appunto la circoncisione, l’osservanza del sabato, per farlo diffondere ovunque. In Paolo questo concetto è sottolineato con forza proprio per un’esigenza di differenziazione. In tutti quelli che l’utilizzeranno nei tempi a venire sarà, invece, l’elemento di rottura contro gli ebrei per evitare la loro "contaminazione" nei confronti della società cristiana. Quindi, la presenza ebraica è tollerata, ma con estrema cautela affinché il "cancro" non pervada tutto il corpo sano. Bisogna poi prestare attenzione ad un aspetto decisivo: la contaminazione dell’idea. Cioè non è l’ebreo in quanto persona che contamina, ma è l’errore che l’ebreo rappresenta: l’osservanza di riti proibiti, l’elem ...[continua]
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