Roberto Gatti è stato fino al 2015 professore ordinario di Filosofia politica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia. Dirige la rivista "Cosmopolis” (www.cosmopolisonline.it). Tra le sue ultime pubblicazioni: Un’utopia modesta. Saggio su Albert Camus (Ets, Pisa, 2017, con M. Bartoni e L. Fatini), Filosofia politica (La Scuola, Brescia, 2018, con L. Alici) e Praga 1968. Le idee della primavera (Manifestolibri, Roma, 2018). 

Le tue riflessioni sulla Primavera di Praga affondano le radici in un tempo ormai lontano e nel contesto di un itinerario intellettuale non riconducibile al marxismo… Perché hai deciso di tornare su quella vicenda con un’intenzione che hai definito come prettamente "filosofica”?
Perché scritti di natura filosofica su quell’esperienza, che è stata anche un’esperienza di riflessione durata vari anni, non ci sono stati e non c’erano ancora alla vigilia dell’anniversario del Sessantotto praghese, fatta eccezione per qualche articolo, anche pregevole ma pur sempre articolo. Il mio libro è un contributo minimo, ma se servisse a stimolarne altri sarebbe buona cosa. 
Il motivo più importante, tuttavia, è stato il tentativo di argomentare, partendo dall’esperienza della Primavera, una tesi che, fin d’allora, guida molte delle mie ricerche e che, dal tempo del "crollo dei muri”, è sempre meno presente nel dibattito politico. Viviamo infatti ormai in un mondo nel quale, sia nel senso comune che nel confronto culturale, ha conquistato un’indiscussa egemonia la convinzione secondo cui il punto più lontano verso il quale può spingersi lo sguardo di un pensiero riformatore è costituito da cambiamenti interni, più o meno estesi e incisivi, del sistema capitalistico. Emblematica è la posizione di John Rawls che, in Theory of Justice e poi in Political Liberalism, ci consegna una teoria della giustizia, apparentemente nella forma di orizzonte emancipativo più avanzato possibile, ma contraddittoriamente ricalcata, come base di partenza, sul modello della democrazia americana attuale, che di emancipativo conserva ben poco, anche nei suoi periodi migliori (Clinton, Obama). Sembra, insomma, che ormai un’alternativa al capitalismo non sia più possibile e che la realizzazione dei diritti debba restare nell’ambito di tale sistema economico-sociale, destinato, con la forza incontrastata della globalizzazione, a conformare tendenzialmente tutto il pianeta. Ma autorevoli, anche se rari, autori mettono da tempo in risalto come il rapporto tra capitalismo e democrazia sia, da sempre, un "matrimonio tempestoso” (R. Dahl), innanzitutto perché appare con crescente evidenza che lo sviluppo autentico dei diritti richiederebbe di mettere in discussione le basi strutturali della società capitalistica. Eppure -si dirà- i modelli storicamente sperimentati di socialismo sono falliti, da quello di matrice sovietica alle socialdemocrazie nordiche al socialismo cubano, per non parlare della Cina. 
Ormai il modello vincente è quello di società, che, congedato sostanzialmente il socialismo, promuovono riforme economiche di tipo efficientistico e produttivistico fondate sul profitto e sul mercato e finiscono, pur con tutte le differenze, per creare un neo-capitalismo post-socialista. E allora viene quasi spontaneo chiedersi, almeno per chi sia interessato a una crescita effettiva dei diritti dell’uomo e del cittadino, se non sia possibile rimettere sul tavolo una riflessione sul socialismo che, da un lato, prenda atto dei fallimenti -che definirei definitivi ed epocali- e, dall’altro, esamini la storia recente per verificare se esistono, accanto a questi, dei fallimenti che non devono la loro sorte a contraddizioni interne, ma a fattori del tutto contingenti ed esterni, mentre, al loro interno, nella loro essenza, conservano una promessa ragionevole di futuro. 
Propongo nel libro, come esempio tipico (e forse unico da metà del secolo scorso a oggi) l’esperienza della Primavera di Praga. E lo faccio non ritessendo per l’ennesima volta la sua tragica storia ma, accanto a questo, andando a vedere la portata teorica di quel modello di socialismo. Talvolta la vicenda storica conserva per i posteri dei segni che dovremmo leggere con maggiore attenzione di quanto avviene generalmente. Ecco perché questo mio libretto non è tanto e solo un’analisi teorica del modello di socialismo praghese, ma un suggerimento per discutere sulla sua validità attuale, almeno come punto di partenza. Dal 196 ...[continua]

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