Andrea Di Michele, già archivista e storico presso l’Archivio provinciale di Bolzano, oggi è ricercatore della Libera Università di Bolzano.
 
Negli anni Duemila hai partecipato al progetto "Bz ’18-’45: un monumento, una città, due dittature”, volto a storicizzare il Monumento alla Vittoria, uno dei lasciti più controversi del periodo delle dittature nazifasciste. Possiamo partire dalla sua storia?

Si tratta di un complesso marmoreo, progettato dall’architetto Marcello Piacentini, eretto dal fascismo tra il ‘26 e il ‘28, anno in cui viene inaugurato. Inizialmente c’era l’idea di intitolarlo alla memoria di Cesare Battisti. L’iniziativa venne interrotta per le reazioni della vedova che era contraria a una strumentalizzazione della memoria del marito per un arco fascista a Bolzano, ma anche perché i trentini già stavano facendo pressioni per avere un monumento a Battisti, però appunto a Trento. Il monumento venne quindi "ridedicato”, in corso d’opera, alla vittoria italiana nella prima guerra mondiale.
È un monumento che vede una sua collocazione importante anche dal punto di vista urbanistico perché sorge come anticipazione, come ingresso in questa nuova "città italiana” che viene costruita al di là del torrente che passa per Bolzano, il Talvera, e che quindi si contrappone, anche visivamente, alla città austriaca, tedesca. I contenuti simbolici sono piuttosto chiari e rimandano alla conquista del territorio, alla sua italianità, alla sacralizzazione dei caduti della prima guerra mondiale; viene anche sancita una superiorità latina nei confronti dei germanici. L’iscrizione in latino recita infatti: "Da qui educammo gli altri con la lingua, le leggi, le arti” intendendo "da qui, dove finisce l’Italia, portammo a nord, ai germani, la cultura”. Ovviamente questa frase venne interpretata come un’offesa nei confronti della popolazione di lingua tedesca. Sicuramente il monumento è il simbolo dell’italianizzazione del territorio e quindi, indirettamente, è un elemento di aggressione simbolica dello spazio e del mondo di lingua tedesca.
Dopo la caduta del fascismo, il monumento ha continuato ad essere scelto come luogo delle celebrazioni del 4 novembre, la giornata delle forze armate, con le sfilate dei mezzi militari e la deposizione della corona ai caduti.
Tant’è che, più o meno in buona fede, negli anni c’è stato chi ha detto: "Questo monumento non va toccato, perché non c’entra niente col fascismo, è un monumento ai caduti, è addirittura un monumento ai caduti di tutte le guerre, di tutte le appartenenze, di tutti gli eserciti eccetera eccetera”; un modo un po’ semplicistico per definire un monumento che si regge su dei fasci littori e la cui storia è fortemente connotata dal punto di vista politico e simbolico.
C’era quindi una contrapposizione tra chi diceva: "È  un monumento ai caduti, punto e basta, se lo toccate offendete la loro memoria” e chi invece obiettava: "No, è un monumento fascista, bisogna buttarlo giù”. Il fatto è che questo monumento è tante cose insieme: è un monumento che sicuramente richiama la vittoria, e indirettamente dunque i caduti di quella guerra, però al contempo celebra il trionfo, diciamo così, dell’italianizzazione fascista. Per certi versi si può perfino dire che è un tempio, un tempio del fascismo.
Poi c’è un terzo elemento, che molto spesso viene trascurato e cioè che è anche un’opera d’arte, un’opera architettonica di pregio realizzata da Piacentini. Contiene opere di Adolfo Wildt, di Libero Andreotti, di Guido Cadorin eccetera. È un monumento sottoposto a un vincolo storico-architettonico.
Dopo una lunga situazione di stallo, negli anni Duemila si è tornati a discutere di cosa fare di questo monumento.
Ci sono stati anche anni di battaglia, con attentati, che hanno portato a una militarizzazione di questo spazio. Il monumento era diventato un fortino inaccessibile in mezzo alla città, una presenza anche inquietante. È stata questa situazione di disagio a condurre a opposte manifestazioni negli anni Duemila. Di nuovo, c’era chi sosteneva che in una Repubblica non potevano sopravvivere simboli fascisti e dall’altra chi affermava che si trattava invece di un monumento ai caduti e guai a chi lo tocca.
Il punto di svolta è arrivato quando, in quegli anni, sono stati messi in cantiere dei lavori di ristrutturazione resisi necessari per le condizioni dell’arco, che ha sempre sofferto di problemi di infiltrazioni d’acqua.
In quell’occasione, la provincia di Bolz ...[continua]

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