Mariagrazia La Rosa vive a Milano. Ha lavorato, come responsabile commerciale e manager, in alcune aziende multinazionali di informatica. Attualmente è impegnata nella consulenza per l’innovazione digitale. È mamma naturale e adottiva e nel confronto quotidiano con altre mamme adottive ha incontrato tante storie diverse. Ha così raccolto le storie più complicate in due libri, raccontando il “lato oscuro” dell’adozione attraverso le conversazioni di chi ogni giorno lo affronta. Da queste esperienze sono nati i libri M.a.d. Mamme Adottive Disperate-Storie complicate di adozioni difficili, da cui è stato tratto l’omonimo spettacolo teatrale, e M.a.c. Mamme Adottive Coraggiose-Cercando l’uscita del tunnel.

Da qualche anno ti sei messa al servizio di un gruppo di mamme, incontrato negli anni, raccogliendo le loro storie, che sono complicate, piene di speranza e di affetto materno, ma anche cariche di dolore e faticose. Come genitori incontriamo delle tappe che pur nella diversità delle singole famiglie sembrano somigliarsi: la scuola, l’educazione, gli amici, il tempo libero, poi il lavoro, la realizzazione di sé. Con l’adozione però entrano in gioco anche altri fattori che, tra l’altro, quando siamo stati noi figli non abbiamo conosciuto e come genitori dobbiamo costruirci in fretta delle competenze e possedere degli strumenti che non avevamo previsto. Vorrei partire da qui.
Tu fai riferimento a quelle esperienze che sono raccontate nel libro e che sappiamo essere esperienze molto particolari, che riguardano una minoranza di casi. Sono le esperienze più difficili, che magari hanno la loro origine proprio nel fatto che questi ragazzi quando erano bambini hanno attraversato circostanze particolarmente sfavorevoli che hanno lasciato il segno, inutile nasconderselo. Sicuramente è molto importante anche il peso delle relazioni che si stabiliscono nella famiglia nuova che si crea a partire dall’adozione: come sono accolti, e quanto riescono a sentirsi rassicurati sia i figli che i genitori. Ma non tutto, non sempre, riesce a risolversi. Parliamo comunque di una minoranza, io credo; mi sono fatta l’idea che possano essere il 20-30% le famiglie in cui si manifestano delle difficoltà serie, più o meno rilevanti.
Quelle con cui ci confrontiamo sono le famiglie con i problemi decisamente più importanti: infatti non stiamo parlando di adolescenti che rispondono male o che vanno male a scuola, bensì di casi che vanno dai comportamenti oppositivi, primo livello di manifestazione del disagio, all’abbandono scolastico, alle notti in bianco dei genitori perché i figli non tornano a casa, perché entrano nella spirale delle dipendenze, dalle droghe all’alcol, per le frequentazioni pericolose, per i reati sia piccoli che no: ad esempio spaccio, furti, rapine.
Parliamo di aggressività in casa, che è poi quella che più di tutte mette in difficoltà la famiglia, perché quando un bambino diventa un ragazzo, dunque anche forte sul piano fisico, se è aggressivo la mamma può diventare una donna maltrattata. Tutte queste cose creano un clima di grande tensione nella famiglia e subentra una grande difficoltà nell’aiutare questi figli, che è poi l’obiettivo e il desiderio di ciascun genitore: accompagnarli verso un futuro sereno e verso una autonomia che permetta loro di vivere bene.
Parliamo di restituzione e allontanamento, un percorso che i servizi sociali prevedono inserendo i minori in un percorso fatto di comunità o strutture adeguate. Dicevi che viene stimato un 20% di famiglie che incontrano queste problematiche, mentre i fallimenti adottivi che prevedono la restituzione sono numeri bassissimi.

È una distinzione molto importante. Perché con il fallimento adottivo viene interrotto il legame tra la famiglia e il figlio: il minore torna in carico alle istituzioni e per lui viene cercata una nuova soluzione; viene trasferito in una comunità fino a quando non si trova una nuova famiglia disponibile all’adozione. Questo, dunque, è il fallimento e questi sono anche misurabili perché ci sono tutti i fascicoli al tribunale per i minori. La chiusura del rapporto è sempre una decisione del tribunale; non è la famiglia a decidere. C’è un processo decisionale per cui alla fine il tribunale stabilisce che nell’interesse del minore, la cosa migliore è chiudere il rapporto con la famiglia. Questi casi sono circa il 3%, che io sappia, parliamo di poche decine di unità.
Come sai esiste un gruppo virtuale di genitori adottivi in diff ...[continua]

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