Puoi farci un rapidissimo inquadramento storico?
Dal 1924, durante il periodo fascista, furono promulgate progressivamente delle leggi che annullavano o reprimevano tutte quelle forme associative diverse dall’idea fascista. Secondo questa idea, bisognava favorire la volontà e la formazione delle coscienze attraverso la realizzazione di un unico movimento, quello giovanile del Partito fascista. Venne così istituita l’Opera nazionale balilla (1926), che inquadrava i ragazzi fino ai diciotto anni: dagli otto ai quindici anni gli iscritti prendevano appunto il nome di “balilla”, quelli più grandi erano i “giovani fascisti”, mentre le ragazze, a seconda dell’età, erano chiamate “piccole italiane”, poi “giovani italiane” e successivamente “giovani fasciste”.
Agli inizi lo scoutismo fu tollerato, visto che l’Asci rientrava sotto l’ala protettiva della Chiesa cattolica; il regime ufficialmente non reprimeva, ma vennero messe in atto numerose azioni dissuasive e intimidatorie affinché i giovani e i capi confluissero nell’Onb.
C’era un clima che richiedeva di essere guardinghi, di agire con circospezione, stando ben attenti a non compromettersi troppo; tutto sommato, però, si riusciva ancora a “fare scoutismo”. Con il tempo la situazione diventò sempre più intollerabile, fino a quando il fascismo non decise di passare alle vie di fatto, decretando lo scioglimento dei gruppi scout oppure obbligando le associazioni scout del tempo a confluire nell’Onb, facendo credere che questo fosse un naturale prosieguo.
Nel 1928 lo scoutismo venne dichiarato ufficialmente disciolto con un regio decreto e tutti i gruppi dovettero chiudere le sedi, sciogliere le unità, riporre le insegne, chiudere nei bauli le uniformi.
Il fascismo cercava in tutti i modi di ispirarsi allo scoutismo nelle sue formalità e in particolare nella suddivisione per fasce di età del “percorso” di crescita, ma adottava soprattutto attività ginniche e atletiche e un inquadramento di tipo militare. Il regime totalitario non poteva che abolire un’associazione che invece educava all’autonomia e alla libertà, allo sviluppo della propria coscienza. Su questo piano agì sia nei confronti dei ragazzi che nei confronti degli adulti. Ad esempio, tanti capi scout decisero volontariamente di aderire, diventando istruttori dei gruppi balilla perché si illudevano di vedere una continuità tra questi due ambienti. Continuità che però era solo apparente, formale. Nello scautismo la formazione è indirizzata al servizio: quanto più uno ha una responsabilità nei confronti dei più piccoli, tanto più non esercita un comando, ma è chiamato a essere il primo a dare l’esempio e a testimoniare i valori in cui crede.
Nello stesso anno dello scioglimento forzato, il 1928, a Milano un gruppo di ragazzi decise di resistere e dunque di disobbedire a questa legge. Erano guidati o, meglio, trascinati, da un capo reparto, Giulio Cesare Uccellini, ventiquattrenne, e da un altro giovane capo -di cui ora si parla poco ma che ha avuto un grande ruolo nella storia delle Aquile randagie- Virginio Binelli, ventunenne. Uccellini e Binelli avevano capito fin dall’inizio la gravità di questa operazione e deciso di resistere personalmente: proposero questa disobbedienza a un gruppo di ragazzi che coraggiosamente e, più o meno coscientemente, aderì.
Uccellini, un convinto “esploratorista” (capo reparto), impostò la gestione dell’unità attuando il metodo delle squadriglie, pur avendo ragazzi di età superiore, chiamati “seniores” (ad esempio, Andrea Ghetti, il futuro Baden, divenne Ar già a 16 anni). Le Aquile randagie furono un reparto per tutta la durata della clandestinità.
Altri capi, pur non riuscendo a condividere assiduamente le attività, continuarono a essere sostenitori e, saltuariamente, parteciparono anche a campi e uscite.
La sfida fu quella ...[continua]
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