Ci puoi raccontare come è nato questo luogo, “ufaFabrik”?
L’idea è nata nei tardi anni Settanta. Eravamo un gruppo che viveva insieme in tre diverse ex fabbriche a Kreuzberg, mentre a Schoneberg avevamo altre due occupazioni, sempre in ex fabbriche, dove offrivamo diverse attività alle persone: il karate, corsi di chitarra, teatro, un progetto culinario per fornire cibi salutari, una panetteria… Alla fine del ’78 ci siamo decisi a unire la nostra vita e le nostre attività in un unico posto.
Da dove venivano i componenti del tuo gruppo?
Alcuni di noi venivano dal movimento studentesco del ’68, mentre altri avevano trascorsi nel movimento hippie dei primi anni Settanta. Condividevamo le stesse idee, il riunirsi, il vivere insieme, la rivoluzione sessuale, erano tutte cose nello spirito dell’epoca.
Quanti eravate? Eravate tutti tedeschi?
All’inizio il nostro gruppo berlinese cresceva lentamente. È cominciato con tre persone nel 1972, nel 1977 eravamo in dodici e quando abbiamo occupato i vecchi studi Ufa di Tempelhof [dove sorgeva uno degli studi cinematografici “Ufa’ e dove sono stati girati, tra gli altri, “L’angelo azzurro” di Stemberg e “Metropolis” di Lang, Ndr] eravamo arrivati a oltre quaranta. All’inizio eravamo principalmente tedeschi, tranne un ragazzo del Guatemala che era il nostro insegnante di karate. A Berlino, all’epoca, venivano a vivere molte persone da ogni angolo della Germania ovest; anche nel nostro gruppo la maggioranza non era nata a Berlino.
Come siete riusciti ad avere questo posto?
Quando ci è venuta l’idea di entrare nell’ufaFabrik, avevamo già avuto esperienza con un altro posto a Kreuzberg, che il governo aveva promesso di lasciarci; alla fine, però, la cosa non ha funzionato perché l’edificio era fatiscente. Così abbiamo scelto di entrare in quest’area abbandonata. Volevamo entrare e mostrare alla cittadinanza che tipo di attività potevamo proporre, far vedere quale fosse la nostra idea per utilizzare un posto simile. Così, il 9 giugno 1979 siamo entrati e abbiamo chiamato una troupe della rete televisiva cittadina “Sender Freies Berlin” che ci ha ripresi mentre spiegavamo cosa potesse fare un gruppo alternativo come il nostro in un posto del genere. Nella loro ripresa si vedeva tutta la gamma delle nostre attività, i corsi con i bambini, gli spettacoli degli acrobati, dei musicisti… La sera di quel 9 giugno il servizio è andato in onda, e noi, contemporaneamente, abbiamo occupato. Così, siccome tutti l’avevano già visto in tv, hanno pensato: “Ah, se l’hanno detto alla tv dev’essere tutto in regola”. Nessuno è venuto per mandarci via. Neppure la polizia! Di lì abbiamo cominciato a trattare con l’amministrazione comunale. Dopo circa dieci settimane abbiamo ottenuto il primo contratto che ci consentiva di restare lì legalmente. Quel primo contratto aveva una durata di tre mesi, scaduti i quali abbiamo rinnovato per tre anni; nel 1986, scaduti quei tre anni, abbiamo rinnovato per venti… Al momento il nostro contratto durerà fino al 2069, quindi siamo al sicuro per i prossimi quarantacinque anni.
Facevate attività di istruzione con i bambini?
Ospitavamo associazioni autonome, una di queste era la Libera scuola elementare di Berlino. Ci sono ancora, ma restano autonomi.
Negli anni Settanta, in Italia, c’è stata una deriva dei movimenti verso la lotta armata e la violenza. Vi è capitato di avere a che fare con questo fenomeno?
Non avevamo alcun rapporto con gruppi violenti, che nel nostro “campo” erano gli squatter. Negli anni Settanta arrivavano continuamente persone dalla Germania occidentale per occupare case a Kreuzberg, ma noi non c’entravamo niente, non era il nostro metodo. Noi volevamo dimostrare che eravamo in grado di fare cose importanti per tutti, per stare insieme, per aiutare la società e fare cultura; non usavamo nemmeno la parola “occupare”, noi la chiamavamo “riattivazione pacifica” dei posti abbandonati. Avevamo appeso fuori da ufaFabrik un grande striscione con scritto: “Vogliamo un contratto per stare legalmente in questo posto”. No, le idee terroriste degli anni Settanta non avevano nulla a che vedere con il nostro lavoro.
Voi avete occupato nel ’79 e dieci anni dopo è caduto il muro. Cosa ha significato questo per voi?
Ricordo molto bene quella se ...[continua]
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