La tua biografia è segnata da un costante impegno socio-culturale e di ricerca. Qual è stato il tuo percorso?
Ho 74 anni, sono un “Pierino del dottore”, come diceva Don Milani; veronese, vengo da una famiglia della media borghesia, mio padre era notaio, avrei dovuto farlo anch’io, ero designato... poi invece mi sono iscritto a sociologia. Nel mio percorso è stata molto importante la formazione cattolica, in parrocchia e nell’Azione cattolica, dove ho imparato le tecnicalità di base per la vita di un gruppo, saper gestire una discussione, fare l’indice di una relazione o per una rivista, insomma cose fondamentali che adesso non insegna più nessuno. In questo ambiente ho conosciuto la mia futura moglie, che aveva un sistema di valori e di gerarchie “personali” analogo al mio.
Infatti, insieme ci siamo iscritti all’Università di Trento, con la prima occupazione nel 1966 e la seconda nell’autunno, sgomberata dal generale Adige, per l’alluvione (noi siamo andati a fare “gli angeli del fango” a Valstagna, in Val Brenta). I nostri percorsi successivi all’università sono stati molto diversi, ma quel sistema di valori e di gerarchie personali è rimasto per cinquant’anni.
Dopodiché, nel ’69 mi sono avvicinato al sindacato, alla sinistra sindacale, ed è incominciato un lungo percorso di affiancamento della politica, prima sindacale, poi con altre modalità, che definirei un tentativo di uso pubblico della ragione. Non ho mai fatto politica direttamente come responsabile, ho sempre affiancato politici, elaborazione di politiche, scrittura di discorsi e cose di questo tipo.
Nel frattempo mi ero laureato e sposato, avevo fatto il borsista di Storia economica a Trento; nel ’75 mi hanno proposto di andare a Roma alla Cisl nazionale, quella dei poligrafici e da lì al Centro studi di Firenze, quella che una volta si chiamava la scuola Quadri, con Carniti e Marini, a fare formazione; poi nel Veneto nel ’79 abbiamo costituito una fondazione di ricerca, la Fondazione Corazzin.
Questa è, sinteticamente, la prima parte della mia vita, dopodiché mi sono messo a fare il consulente di organizzazione, formazione e di politiche pubbliche, fino al 2002 quando sono diventato direttore generale del Comune di Verona. Da quando sono in pensione, ho fatto attività di volontariato in Centri di accoglienza straordinaria di richiedenti protezione internazionale e poi ho fatto crescere un gruppo che porta in giro ogni settimana un centinaio di arzilli vecchietti per i monti del Triveneto; più recentemente ho contribuito a creare un Osservatorio sulle disuguaglianze a Verona.
Abbiamo fatto l’indice. Partiamo dalla formazione cattolica: dicevi che è stata determinante, e non tanto per l’aspetto religioso...
Determinanti sono stati gli anni Sessanta. Credo nessuno di voi possa immaginare che fortuna è stata essere giovani negli anni Sessanta del secolo scorso. Determinante è stato il clima, nella Chiesa per il Concilio e per tutto quello che è successo successivamente; nella politica, per il kennedismo, ma anche per il femminismo (mia moglie era una femminista “dal volto umano”) ma qui siamo già alla fine degli anni Sessanta.
La formazione cattolica è stata determinante, più che sul piano religioso, spirituale, dal punto di vista etico, nel senso che ha orientato un modo di stare al mondo. Ci ha educato al senso civico, a quelle che qualcuno chiama le virtù civiche. E poi ci ha fornito una serie di competenze specifiche di tipo semplicemente socio-relazionale. Io ho cominciato a fare riunioni di piccolo gruppo già quando ero alle scuole medie; nell’Azione cattolica giovanile facevo le riunioni col mio gruppo di cinque-sei persone, e quindi sono stato costretto a imparare come si gestisce un incontro, e l’ho imparato alle medie, non a trent’anni. E quando al liceo sono entrato nella redazione del giornale studentesco dell’Azione cattolica e poi ho fatto il redattore capo, ho imparato come si fa a organizz ...[continua]
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