In Russia le persone comuni sanno molto poco dello scenario politico ucraino. Di solito se ne discute solo nel contesto della dialettica “filo-russi contro filo-occidentali”. Puoi spiegare come vi posizionate rispetto a questo tu e l’organizzazione Sotsyalnyi Rukh (“Movimento sociale”)?
Comincio col dire che in Ucraina, così come in Russia, c’è una politica di sistema e una non di sistema. C’è una politica cosiddetta elettorale, che si svolge in parlamento e sugli schermi televisivi che viene portata avanti da partiti finanziati da oligarchi. Poi ci sono altri partiti, nati dal basso, dalla società civile, che però solitamente non riescono a entrare in parlamento. Un modo più realistico che hanno gli attivisti per accedere alla dimensione elettorale della politica è riuscire a entrare nelle liste di partito, per esempio, di Svyatoslav Vakarchuk. Anche noi abbiamo provato a registrare un nostro partito, ma si è rivelata un’impresa troppo difficile in termini di risorse burocratiche e finanziarie. Ciò detto, i partiti che riescono ad accedere al parlamento, solitamente, non riescono a mobilitare la gente. Invece, le organizzazioni di attivisti e i piccoli partiti, anche se non riescono a farsi eleggere negli organismi governativi, sono in grado di esercitare una pressione dal basso.
Gli spin doctor russi che in passato hanno studiato gli esiti delle elezioni ucraine credono di comprendere la politica elettorale. Il fatto è che dall’ascesa di Zelensky molto è cambiato. Soprattutto gli analisti hanno sottostimato la capacità di mobilitazione della società ucraina, incluse le organizzazioni di volontariato create subito dopo l’inizio della guerra nell’Ucraina orientale nel 2014. È vero che alcune di queste sono sorte da entità preesistenti, ma tante altre sono nate proprio dal nulla, fondate da persone comuni, leader locali che mai prima di allora si erano occupati di politica. È questo che gli osservatori russi non sono stati in grado di comprendere.
La società civile ucraina è anch’essa segmentata. Ci sono i liberal, che è la componente maggiore; esiste anche una fazione di estrema destra, che pur non riuscendo ad accedere al parlamento ha un controllo sul territorio. La “nuova” sinistra ha avuto una fase di ascesa, durata all’incirca tra il 2008 e il 2012, ma con la rivolta di piazza Maidan del 2014 e in particolare dall’inizio della guerra del Donbass ha sperimentato un lento declino.
Qual è stato il motivo del declino della sinistra dopo la rivolta di piazza Maidan?
All’epoca facevo parte di un’organizzazione di ispirazione nazional-progressista. Io stesso provengo da una famiglia nazionalista di Luhansk. Avevamo collaborato con attivisti di sinistra del sindacato Pryama Diya (Azione diretta), quando questi avevano dato vita alle proteste studentesche.
Ma la sinistra non era pronta per il Maidan. A causa della deviazione verso il nazionalismo, non si è rivelata la rivoluzione che sognavano. Molti hanno litigato -ancora di più quando è iniziata la guerra del Donbass. All’epoca una parte della sinistra ha aderito a posizioni filorusse, un’altra è andata al fronte per combattere per l’Ucraina; altri ancora hanno cercato una posizione di compromesso, che alla fine ha portato alla frammentazione della sinistra. Per quanto ne so, una situazione simile si è verificata con l’estrema destra in Russia.
Dalla primavera del 2015 alla primavera del 2019, nella redazione di “Commons” sono entrate quattro nuove persone, una delle quali ero io. Ci univa il fatto di provenire tutti dal Donbass, di essere tutti sostenitori della rivolta del Maidan, ma anche il non avere verso la guerra l’atteggiamento condiviso dalla maggior parte degli ucraini: noi sostenevamo una soluzione fondata sul ...[continua]
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