Sono venuta in Italia sette anni fa per studiare e poi sono rimasta.
Negli ultimi anni, nel mio paese la situazione è andata via via peggiorando, non solo dal punto di vista economico. Già nell’inverno del 2017-18, e poi nel 2019, c’erano state proteste contro il governo, represse nel sangue. All’epoca morirono molte persone. Alcune stime parlano di più di millecinquecento manifestanti uccisi nelle strade con proiettili da guerra. Persone normali che stavano protestando pacificamente. Quando si sono diffuse queste notizie abbiamo iniziato a sentire che la nostra vita non poteva più dirsi normale. Io da qui guardavo le notizie, parlavo coi miei amici rimasti nel paese e vedevo che la situazione stava degenerando.
Fin dalla rivoluzione del 1979 c’erano tante manifestazioni contro il governo, di donne, di gruppi diversi… e tutte le volte c’era stata la repressione, però in questi decenni la reazione del governo si è fatta sempre più violenta. Hanno iniziato a uccidere le persone per la strada, oppure a prelevarle e torturarle. Arrivavano chiamate di persone che dicevano: “Aiutatemi, sono in prigione, sono innocente, mi accusano di crimini che non ho commesso”. Hanno ucciso perfino atleti noti e amati dalla popolazione. Parlo di azioni molto brutali: uomini e donne portati via dalle proteste che scomparivano e poi i loro cadaveri venivano rinvenuti nei fiumi o nelle dighe. Parlo anche di tanti giovani. A sentire queste notizie noi piangevamo. Seguivamo da lontano senza capire come aiutare i nostri concittadini, come fare qualcosa. Questi anni fuori dal paese poco a poco sono diventati un incubo.
Quasi non ci si poteva credere a quei numeri: millecinquecento cittadini iraniani morti e oltre seimila finiti in prigione, talvolta senza più loro notizie. Una modalità nota: già all’indomani della rivoluzione islamica molti oppositori, o potenziali tali, attivisti, o chiunque si esprimesse contro il regime erano spariti nel nulla.
Nel 1988, quando si avvicinavano i termini per far uscire i detenuti, Khomeini non voleva che fossero rimessi in libertà, quindi diede l’ordine di eliminarli. In tante città ci sono ancora le fosse comuni. Avevano cercato di cancellare le tracce di quel massacro, ma i satelliti avevano visto le buche.
Bene, sapete che Raisi, l’attuale presidente della repubblica islamica (autoeletto perché alla fine nessuno l’ha votato), è stato tra i mandanti di quel massacro? Uccisero trentamila prigionieri politici. Se penso che poco tempo fa è stato all’Onu, a New York, cioè che gli Stati Uniti gli hanno dato un visto per farlo parlare alle Nazioni Unite...
All’indomani di quell’esecuzione di massa sorsero associazioni di madri, sul modello di quelle di Plaza de Mayo, che giravano con le foto dei loro figli per sensibilizzare la popolazione. Oggi ci sono madri di varie generazioni, perché da allora le violenze e le uccisioni si sono moltiplicate. Queste madri si sono rifiutate di stare in silenzio, hanno continuato a denunciare e a lottare, ad accusare il governo di aver ucciso i loro figli. C’erano anche padri, seppure meno numerosi. Queste donne hanno imparato a muoversi anche sui social, quotidianamente facevano dei video che poi postavano, giravano per i quartieri con le foto dei loro figli. Il regime, non potendo eliminarle, ne ha messe tantissime in prigione.
Si dice che in Iran, almeno negli ambienti urbani, le persone all’interno delle proprie abitazioni mantengano una certa libertà nei costumi, nel mangiare e nel bere, nel vestire, ecc. Questa sorta di doppia vita è ancora possibile?
Prima della rivoluzione del 1979, durante la dinastia dei Pahlavi, le donne avevano gli stessi diritti degli uomini, e anche nei costumi erano più libere. Si pensa che la rivoluzione fosse desiderata da tutti, ma in realtà non era così. Tanti non la volevano affatto. Dopo che Khomeini rientrò in Iran, quando ancora c’era il primo ministro Bakhtiar, a Teheran scesero in strada quattrocentomila persone. Anche se c’erano dei gruppi, dei miliziani marxisti, comunisti e islamisti che minacciavano i dissidenti, quasi mezzo milione di persone manifestò contro Khomeini in quei giorni dicendo: “Non vogliamo questa rivoluzione”. Alla fine molti di questi lasciarono il paese, non potevano accettare di vivere sotto una repubblica islamica. Subito dopo la rivoluzione è emigrato un milione di iraniani.
Per dire, mia madre, cresciuta nel pe ...[continua]
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