La crisi della politica, che abbiamo sotto gli occhi, lei la fa risalire anche alla crisi dello stato, in particolare lei mette in discussione il trattino che unisce stato e nazione per ripensare i fondamenti su cui si è costruito il nostro ordine internazionale.
Sì, possiamo partire dal trattino stato-nazione, la questione che discuto nell’introduzione. Quando ho scritto il libro non mi ero ancora accorto di avere un buon precedente da citare, un saggio di Arjun Appadurai, un antropologo indiano, che discute il problema del patriottismo e del nazionalismo. È un antropologo e sociologo che, studiando in particolare le realtà asiatiche, sostiene che è venuto il momento di eliminare l’hyphen, il trattino tra stato e nazione; la proposta che faccio anch’io. Mi dispiace averlo visto solo ora perché l’avrei citato. Noi consideriamo lo stato nazionale come qualcosa di indiscutibile, di accettato come un fatto di natura, come una realtà che determina la nostra identità culturale: nasciamo italiani e la nostra identità è italiana. Ma perché siamo italiani? Nasciamo in fondo come esseri umani sul pianeta Terra. La nostra prima appartenenza è l’umanità, poi, è vero, ci possono essere differenze di colore della pelle, di lingua, tutto quel che volete, ma non sono differenze fondamentali. Quindi perché la nostra identità è italiana, francese, tedesca, indiana, cinese, eccetera? Queste non sono identità naturali, ma plasmate dalla politica. Sono identità perché nella storia si sono formati alcuni poteri, che definiamo stati; dopodiché chi nasce in quel territorio, come afferma Weber, avendo lo stato il monopolio della violenza, il suo governo può dire a un cittadino che è ucraino e quindi deve essere un patriota ucraino, o che è un russo e quindi deve essere un patriota russo e così via. Questo, come dice Appadurai, non è un fatto di natura. Io sono d’accordo.
Noi federalisti abbiamo criticato questa concezione dello stato sin dalla nascita del Movimento Federalista Europeo, avvenuta idealmente nel 1941, con il Manifesto di Ventotene, scritto da alcuni esiliati antifascisti nell’isola di Ventotene: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Sotto l’aspetto organizzativo, il Mfe è stato fondato a Milano, nel 1943, in clandestinità. I federalisti hanno indicato come loro obiettivo un’Europa libera e unita, e individuano nello stato nazionale la causa dei conflitti che stavano travolgendo l’Europa e il mondo intero. Tuttavia, l’idea dell’unità europea, degli Stati uniti d’Europa risale all’800, si potrebbero citare Hugo, Mazzini, Cattaneo, e altri. Pensiamo al dibattito tra socialisti e comunisti: la formula del socialismo “in un paese solo” nacque durante la Prima guerra mondiale perché circolava nell’Internazionale l’idea degli Stati Uniti d’Europa.
Dopo la decisione dei partiti socialdemocratici europei di votare a favore dei crediti di guerra, esplose un conflitto tra chi voleva mantenere la parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, come Trotzky, e chi era contro. Lenin, dopo essere stato favorevole a questo slogan prima della guerra, si espresse contro, perché aveva intravisto, con realismo, la possibilità di fare la rivoluzione in Russia, un paese industrialmente arretrato. In seguito, la posizione di Lenin venne adottata da Stalin.
Pertanto, l’unificazione politica tra stati sovrani non è un’idea nuova, ma antica. Le sorgenti culturali sono, sul fronte filosofico, Immanuel Kant, nel suo saggio “Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico” e, sul fronte politico, il pensiero degli autori del “Federalist”, una serie di saggi sulla costituzione americana. È un testo fondamentale del pensiero politico. Il federalismo è pertanto una teoria dello stato che nasce negli Stati Uniti e che consente di conciliare l’unità nella diversità. ...[continua]
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