Possiamo partire dal crollo dell’Unione sovietica e dalle due diverse strade intraprese da Russia e Ucraina all’indomani del 1991.
È interessante indagare lo sviluppo di una divergenza tra i due percorsi, quello russo e quello ucraino, tanto più che nel 1991 i due paesi presentavano delle forti affinità.
La dissoluzione dell’Unione sovietica è stato, in generale, con alcune eccezioni nel Caucaso e in Asia centrale, un processo pacifico, soprattutto al confronto con la Jugoslavia. Un paio d’anni fa è uscito un bel libro con le interviste a coloro che parteciparono al suo scioglimento; sono riportate le testimonianze del rappresentante di Eltsin, del capo ucraino Kravchuk, del capo bielorusso, tutti alti dirigenti del Partito comunista sovietico. Ebbene, erano tutti tristi e non perché l’Unione sovietica piacesse loro, tutti la criticavano e sapevano che non si poteva andare avanti così: l’intera élite sovietica era cosciente dei grandi problemi esistenti, in particolare di quelli del sistema socio-economico, sin dal 1985 quando aveva lanciato una riforma radicale, che però era fallita quasi subito, nel 1987. Dal 1990 era chiaro che non si poteva fare niente, per cui ognuno aveva cercato una propria scialuppa di salvataggio, che erano poi le repubbliche indipendenti. Quello che volevo sottolineare è che però non c’era assolutamente un odio degli uni verso gli altri come nell’ex-Jugoslavia. L’élite condivideva una cultura, erano persone che la pensavano per certi versi allo stesso modo. Fu anche per questo una specie di divorzio civile. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che quel regime era durato molti decenni. Se si pensa a Italia e Germania, fascismo e nazismo sono durati vent’anni e dodici anni, l’Urss è durata settantaquattro anni! In Italia c’era tuo padre Vittorio Foa che era stato in galera, in Germania c’era Adenauer... Al tempo della dissoluzione dell’Urss, di quelli di prima non c’era più nessuno: c’erano solo le generazioni prodotte dall’Unione sovietica.
C’era stata una prima rottura già al tempo della morte Stalin, il disgelo, insomma il regime veramente odiato era finito. Non che fosse venuta fuori una cosa buona, tant’è vero che lo volevano tutti cambiare, però dopo il ’53, dopo il ’56, era un regime in cui molti potevano vivere, anche se male e certo peggio che in Europa occidentale.
Va anche detto che quando l’Urss è crollata, non c’era un’ideologia nazionalista vera e propria, c’era invece questa strana cosa da cui trae le sue radici Putin, che era un miscuglio di nazionalismo russo e sovietico, che andrebbe maggiormente indagato. Da un certo punto di vista, Stalin aveva distrutto il nazionalismo russo e la grande cultura russa: aveva ammazzato i contadini e fucilato scrittori, poeti e religiosi ortodossi. Dall’altro però aveva vinto la Seconda guerra mondiale, ridato potenza a Mosca e rifatto la chiesa ortodossa, sia pure a sua immagine. Non a caso Putin mantiene un atteggiamento ambivalente verso Stalin che, in quanto bolscevico, ha distrutto la grande nazione russa, ma ne ha anche esaltato la potenza.
Quindi viene fuori questo miscuglio di nazionalismo radicale insieme russo e sovietico, che nel ’91 è però marginalizzato; la maggioranza dei membri dell’ufficio politico condivideva piuttosto l’idea che si dovesse ragionare... Pensate ai golpisti del ’91: nemmeno loro usano la violenza, a differenza di quanto accade in Jugoslavia nello stesso anno. Insomma, all’epoca questa nuova forma di nazionalismo radicale è ancora tenuta ai margini, anche se comincia a diventare popolare; infatti già alle elezioni di fine ’93 il partito del nazionalismo aggressivo russo-sovietico, quello di Zhirinovsky, prende la maggioranza relativa dei voti e poi continua a crescere.
Per capire l’evoluzione di questa ideologia, si possono portare tre esempi. Se ci pensate, è la Russia a provocare la fine dell’Unione sovietica e la Russia ...[continua]
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