Partiamo dal titolo: perché “Occidenti” al plurale?
È la prima volta che batto il mio editore su un titolo. Quello che mi era stato proposto era “pensieri sulla fine di un’epoca”. Io però volevo insistere sulla necessità di “vedere” l’epoca in cui siamo. Per farlo mi ha aiutato moltissimo vedere le cose al plurale, che mi sembra ora una ovvietà. La storia è un processo in cui tutto cambia, per cui vedere il mondo al plurale vuol dire anche accettare la sfida di farne uno nuovo. Se quella di Occidente è una categoria intellettuale plurale, mi sembra di poter dire che la cosa che unifica i vari Occidenti sono i diversi modi in cui hanno cercato per lo meno di ragionare su libertà e dignità delle persone, certo anche in modo contraddittorio, ipocrita, però ci hanno provato...
L’Occidente in cui sono cresciuto io è apparso, di fatto, nel 1945, dall’unione fra Stati Uniti ed Europa occidentale, che erano sei paesi, di cui tre piccoli piccoli. Quell’Europa non c’è più: adesso nell’Unione europea siamo in 27 e forse l’Ucraina prenderà il posto dell’Inghilterra. Ma non basta: gli Stati Uniti che ho conosciuto io erano un paese fatto da europei, da hyphenated-americans, americani con il “trattino”, di origine europea. New York, la prima volta in cui ci ho vissuto, nel 1979, era piena di italo-americani, polacco-americani, ebreo-americani... non è più così, sono fatti naturali...
L’Occidente del cui tramonto Spengler parlava nel 1917 c’entra poco con quello del 1945. Allora, se voglio pensare a una categoria, non tanto geografica, ma globale, per cui l’Occidente è un posto dove si tende a difendere la libertà e la dignità, oggi me ne devo immaginare uno nuovo, perché l’America fatta di europei e l’Europa fatta di sei paesi non ci sono più e però ci sono altri paesi che bene o male sono interessati, come il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, forse l’India e qualche paese africano.
Per concludere, pensare all’Occidente al plurale secondo me è interessante perché ti fa vedere che in fondo le cose semplicemente, naturalmente, si esauriscono, non c’è alcun complotto e, tuttavia, se ritieni che alcune delle cose che c’erano siano ancora valide, devi provare a preservarle o riconquistarle in un altro modo. È questa la scommessa.
A me è anche venuto naturale pensare a una pluralità delle modernità, forse perché studiavo l’Unione Sovietica. In fondo pure quella era una modernità: c’erano la scuola, l’urbanizzazione, le fabbriche, la luce elettrica; certo, era una realtà molto diversa dalla nostra, ma era indubbiamente una realtà moderna, quindi l’idea che ci potessero essere delle modernità diverse mi è sempre parsa evidente. Tanto più che anche la modernità occidentale era articolata, perché una cosa era quella europea continentale, un’altra era quella americana consumistica e un’altra ancora è quella di oggi. Quali sono i tratti della modernità nuova in cui viviamo oggi? È il boom dei consumi? Direi di no. Sono i giovani? No. Sono tante altre cose, probabilmente, tra cui anche il fatto che siamo vecchi.
Adesso si parla molto di crisi di natalità, com’è giusto. Però l’invecchiamento, secondo me, è altrettanto importante, anche per le sue conseguenze psicologiche, politiche. Cosa significa vivere in una società in cui i vecchi diventano così importanti?
Probabilmente stiamo attraversando una fase estrema. A parte il fatto che i figli sono pochi, non credo che a breve ci sarà un’altra fase storica in cui l’aspettativa di vita aumenta di venticinque anni in trentacinque anni... Se ci fermiamo a pensarci, è una cosa enorme, storicamente. Anche il crollo così alto delle nascite è legato a questo: noi ci siamo creduti tutti più o meno immortali, anche perché era abbastanza vero. Anche quei modi di dire “i sessanta sono i nuovi quaranta”, “i trenta sono i nuovi venti...”.
Io mi sono anche intellettualmente molto divertito a scrivere queste pagine, a provare, a cercare di vedere. Poi non so se il messaggio è chiaro, e ovviamente non ho sicurezze. Semplicemente mi sembra che, guardando in questo modo pluralizzante, storicizzante, sia più facile anche vedere cose nuove, cose importanti.
Una delle considerazioni che proponi è che la modernità che ab ...[continua]
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