Puoi raccontare brevemente qual è stato il tuo percorso?
Ho iniziato a lavorare come parrucchiera nel 1982 in un salone in via Ravegnana. La proprietaria si chiamava Domenica. All’epoca era un negozio che lavorava tantissimo; eravamo cinque o sei dipendenti. Per diversi anni ho fatto solo la gavetta, ero un po’ la bambina della bottega che spazzava e andava a prendere il caffè. Però ho avuto la fortuna di avere un’insegnante molto brava, rigida, ma molto brava. Dopo diversi anni ci siamo spostate in corso della Repubblica e lì è stato bellissimo perché ci mandava a fare i corsi di aggiornamento a Brescia ed eravamo sempre all’avanguardia. Ho lavorato lì fino al 1998. Quell’anno ho smesso per qualche mese perché stavo attraversando un periodo brutto della mia vita, ma poi ho ripreso a lavorare in un altro salone in corso Garibaldi. Sono stata lì qualche anno fino a quando il titolare ha deciso di aprire un altro salone a Forlimpopoli, che siamo andati a gestire io e un altro ragazzo. Andava benissimo, mi piaceva... fino a che non sono rimasta incinta del primo figlio e poi del secondo. All’epoca mio marito aveva un bar e stava lì tutto il giorno, io in negozio facevo orario continuato e, insomma, era impossibile... Uno dei due doveva lasciare. Allora ho lasciato la società e sono andata a lavorare con mio marito nel bar. Ho lavorato lì per ben vent’anni, sempre però con il sogno, prima o poi, di aprire un mio negozio. All’inizio pensavo che sarebbe stato possibile solo dopo qualche anno, finché i bambini non fossero andati a scuola e invece... Il bar ci ha sempre dato da mangiare, ci ha fatto vivere una vita agiata, ma il sacrificio è stato grande. All’improvviso mi sono resa conto che i figli erano diventati grandi. Io e mio marito lavoravamo dalle sei di mattina fino alle otto di sera, sabato compreso; la domenica, giornata in cui il bar era chiuso, in realtà si doveva comunque andare a preparare tutto per il giorno dopo. Era una schiavitù, tanto più che noi eravamo sempre aperti salvo, appunto, la domenica o il giorno di Natale... Insomma, passano uno, due, tre anni, cinque, dieci anni... Dopo vent’anni ho puntato i piedi: “O lo faccio adesso o mai più”. Avevo 53 anni e ormai stavo perdendo le speranze… E così ho deciso… Beh, il mese dopo è iniziata la pandemia! Ma non mi sono persa d’animo. Abbiamo deciso comunque di vendere il bar, anche perché io a quel punto non ci sarei più andata, e devo dire che in breve tempo ho trovato un acquirente. Dopodiché ho iniziato a spedire dei curriculum per mio marito. Devo dire che la fortuna ci ha assistito. Il suo sogno era sempre stato quello di vendere case, così ho scritto a diverse agenzie immobiliari e il giorno dopo la chiusura del bar lui aveva il lavoro! L’ho detto, siamo stati fortunati, anche perché dopo i cinquant’anni trovare lavoro è un’impresa! Ma io ero troppo determinata… Nelle ultime settimane, un nostro cliente del bar ci ha chiesto: “Ma dopo cosa farete?”. E così gli ho raccontato del mio progetto di aprire un negozietto qui in centro. E lui mi ha detto: “Ah, peccato, io ho un locale, ma è giusto un piccolo garage e comunque è tutto da rifare”. Gli ho detto: “Vediamolo!”.
Ricordavo via Caterina Sforza quando ancora c’erano tutti i negozi, quel giorno invece era una desolazione totale: tutto chiuso e questo piccolo garage con la terra al posto del pavimento, un soffitto altissimo, tutto rovinato, sembrava uno scantinato… Però me ne sono subito innamorata! Ho pensato che era proprio della dimensione giusta e così abbiamo subito iniziato a fare i lavori e dopo tre mesi ho aperto.
Erano comunque vent’anni che non facevi più quel lavoro, come ti sei trovata?
Guarda, è un lavoro che, una volta imparato, lo sai fare sempre. Certo, devi rimanere aggiornato, ma oggi per fortuna c’è internet, dove trovi tantissimi corsi online; il modo per mettersi al passo con le nuove mode si trova. Quella era l’ultima delle mie paure. Poi è successa un’altra cosa. All’epoca mio figlio aveva appena concluso l’abilitazione come odontotecnico e aveva mandato in giro il suo curriculum. Gli ho detto: “Fino a che non ti chiamano, non pensare di stare casa a dormire, vieni in negozio con me”. Come dicevo, eravamo in piena pandemia, quindi bisognava seguire tutta una serie di procedure: pulire, sterilizzare tutto, poi c’era da ...[continua]
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