Sì, in qualche modo ci si aspettava un tale esito, e anche a sinistra c’erano persone favorevoli a rimpiazzare una preferenza su base etnica con una su base economica, prevedendo cioè canali privilegiati per persone con bassi redditi; una misura che comunque favorirebbe la mobilità di molti neri, certo non nello stesso numero, e al contempo favorirebbe i bianchi poveri, cosa politicamente più accettabile sia per i liberal che per le persone di sinistra degli Stati Uniti.
Le “Affirmative actions” sono sempre state un tema problematico, perché sono state progettate per favorire la mobilità di gruppi precedentemente esclusi, all’interno della gerarchia sociale, senza tuttavia modificare quest’ultima. Questo per dire che se le azioni positive non sono accompagnate da altre azioni sociali che affrontino le questioni degli alloggi, della qualità dei quartieri, delle scuole; a meno che non siano insomma supportate da riforme che incidono sugli altri fattori che provocano l’ineguaglianza, quest’ultima permane.
Anzi, il rischio è di legittimare l’ineguaglianza esistente, perché non ci sarà l’esclusione su base etnica, che data la storia americana era una battaglia importante da fare, però il paese non si muove verso un maggiore egualitarismo, e anzi si possono indurre effetti distorcenti. Se si guarda alla storia dei diritti civili americani, e ai diritti di genere, alla storia della fine della discriminazione contro i neri e poi contro le donne, si possono senz’altro apprezzare le importanti vittorie conseguite, ma bisogna anche riconoscere che ciononostante l’ineguaglianza sociale è cresciuta. Questa rimane una questione aperta per la sinistra.
Credo che l’unico modo per affrontare questa sfida sia di riconoscere che abbiamo bisogno di azioni positive, ma che forse è preferibile che queste siano economiche piuttosto che etniche. E comunque è necessario mettere in campo un’agenda di riforme di senso egalitario che accompagnino quelle misure.
Puoi aiutarci a capire quel è lo spirito che ha animato queste leggi, che risalgono agli anni Sessanta? Da un lato c’era la volontà di offrire riparazioni per i torti subiti in passato da alcuni gruppi, ma c’era anche l’obiettivo di aumentare la diversità…
Credo che il principale impulso a mettere in campo azioni positive sia stato il riconoscimento del fatto che si veniva da una lunga storia di ingiustizie. Dopodiché si è introdotto il tema della diversità perché nel diritto statunitense il concetto di “preferenze etniche” non aveva precedenti. Il diritto statunitense è, fondamentalmente, etnicamente neutro, e ciò ha una lunga tradizione. È un principio che come sappiamo è stato nei fatti violato, ma in teoria la legge americana è cieca dinnanzi alle differenze etniche.
Per questo si è introdotto il tema della diversità, per poter rispettare quel principio. Personalmente non so se un campus “diversificato” sia migliore di uno “omogeneo”, può darsi, anche se la storia ci insegna che in questi contesti i gruppi tendono alla segregazione: gli studenti neri finiscono con il trascorrere la maggior parte del tempo con gli altri studenti neri; e non oltrepassavano i limiti della loro diversità. È una “sectional diversity”, una diversità che resta divisa in settori, che non mescola gli individui, o almeno lo fa poco.
Credo che il vero punto della questione sia chiedersi perché queste persone sono sistematicamente escluse da tutte una serie di opportunità, non solo nell’abito dell’istruzione superiore, ma anche, per esempio, nell’entrare a far parte della polizia locale, dei pompieri…
I neri erano discriminati a ogni livello. Questa cosa doveva finire, ma ciò comportava un prezzo politico; pensiamo alle forze locali di polizia; se si assumono tre neri, si escludono tre bianchi, e questa è una cosa che viene notata in una comunità e che ha delle ripercussioni politiche. Ad ogni modo, bisognava percorrere quella strada, per quanto impervia.
In un articolo uscito su “Dissent” ancora nel 2011, a f ...[continua]
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