Nel convegno ho citato la polemica Walser-Bubiz perché essendo Walser da sempre impegnato contro la rimozione del passato è stato tanto più sorprendente che in occasione di questo discorso a Francoforte, nell’ottobre del ‘98, lui abbia detto pubblicamente, con il presidente delle comunità ebraiche presente, che cominciava a sentire che era troppo, di non voler più vedere in tv documentari sull’olocausto. Questo infatti ha scatenato una reazione terribile da parte del presidente Ignaz Bubiz, morto un anno fa. Ne è nata così una grave controversia, soprattutto per l’insistenza di Walser sull’ambiguità della ritualizzazione, perché ha dato così l’impressione a molti di non voler più sentire parlare di tutto questo. E’ stato sfortunato anche perché la destra in Germania, da 15 anni almeno, cavalca questo sentimento: "Abbiamo ricordato abbastanza”. In tedesco c’è una parola particolare, Schlusstrich, che significa che bisogna tracciare la riga finale: adesso basta.
La situazione della nuova generazione poi, in effetti, è ulteriormente complicata perché per chi è nato dopo gli anni ‘60 o anche ‘70 ricordarsi l’orrore del nazismo diventa una cosa astratta; i giovani infatti conoscono quella vicenda solo attraverso libri e documentari. E per loro c’è il pericolo che tutto questo venga sentito non solo come qualcosa di artificiale ma addirittura di imposto, di aggressivo.
A scuola l’insegnamento della storia del nazismo e dello sterminio degli ebrei è obbligatorio; se ne parla estesamente nelle ultime classi del liceo. All’università ho istituito un centro di ricerca sulla cultura ebraica e tengo seminari sulla letteratura ebraica in Francia e in Italia, dunque sono costantemente a confronto con gli studenti; quelli che vengono da me sono interessati, ma anche tra loro c’è questo sentimento ambivalente, di desiderio di conoscenza legato però al fatto che non sentendosi colpevoli possono avvertire con disturbo questa insistenza a ricordare la catastrofe.
Ecco, mi sembra ci sia il pericolo che questa ritualizzazione, che comunque ritengo necessaria, possa comportare tutt’altri effetti.
Oggi è prioritario lavorare per una normalizzazione della vita in Germania. A Münster per esempio, che non è una città importante, se non per il fatto che è la seconda città universitaria, non ci sono problemi sociali, c’è poca povertà e il livello di disoccupazione è basso. Ebbene, anche a Münster di fronte alla sinagoga c’è sempre la polizia. Ecco, questo per me segnala che ancora non c’è una "normalità”. Io vorrei che la presenza ebraica non dovesse più avere protezioni di questo tipo. E’ necessaria la polizia? Non lo so. 4 anni fa è morto un amico molto stretto, per tanti anni presidente della comunità ebraica a Münster; lui diceva sempre: io non voglio questa presenza della polizia, perché è proprio ciò che attira i giovani della destra. Dall’altra parte, non mettere questa protezione, se mai accadesse un episodio di violenza… insomma c’è un crinale delicatissimo in queste scelte.
Francamente non so come venga recepito l’ammonimento a ricordare da parte dei più giovani. Per tutta la mia generazione la relazione con i genitori è stata molto tesa. Nel mio caso personale, io non ho conosciuto mio padre, perché è morto alla fine della guerra e la famiglia di mia madre era divisa; mia madre aveva un fratello e due sorelle, una sorella era membro del partito e gli altri erano socialdemocratici. Dunque la famiglia era spaccata. Mia madre mi ha sempre detto che veramente non sapeva cosa fossero i campi di concentramento; avevano paura, vivevano sotto un terrorismo statale. E soprattutto non se ne parlava. Lei personalmente non conosceva ebrei; io non posso dire quanto anche in lei ci fosse rimozione.
Penso sia naturale che più o meno tutti abbiano chiesto ai loro genitori, o nonni com’era; penso anche che la maggior parte non sapesse e non volesse sapere; non volevano sapere perché avevano paura o perché non erano veramente contro quel sistema. Comunque si sa che una parte della popolazione era nazista, casomai senza essere antisemita; il fatto è che è molto difficile sapere veramente come fosse la vita 60-65 anni fa. Con i miei figli ne abbiamo parlato e loro sanno che per me è un tema molto importante, sono coscienti di questa problema ...[continua]
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