Fresia Cea aveva 23 anni nel 1973, viveva e insegnava a Temuco, una città 600 km a sud di Santiago. Era sposata con Omar Venturelli, col quale ha avuto una figlia, Maria Paz. Fresia riuscì a fuggire dal Cile in modo avventuroso: dalla caserma in cui era detenuta riuscendo a mischiarsi a quelli che venivano rilasciati; da Temuco grazie alle indicazioni di un carabiniere che conosceva la sua famiglia; da Santiago, rifugiandosi nell’ambasciata italiana, grazie all’aiuto, per Fresia “veramente straordinario”, di una suora, alcuni preti e dello stesso cardinale di Santiago. Furono loro a organizzare, così come per tanti altri, l’entrata nelle ambasciate. Nel caso di Fresia, poi, le circostanze vollero che il prelato dovette aiutarla proprio materialmente a scavalcare il muro che lei, essendo piccolina, non riusciva a scalare. Dopo mesi, un accordo permise che i circa 400 rifugiati dell’Ambasciata italiana in Cile potessero raggiungere l’Italia. Dopo essere vissuta per anni in Italia, Fresia si è risposata, ha avuto altri due bambini, è rientrata in Cile, a Temuco, dove tiene un centro di assistenza per le donne maltrattate. Il centro si regge grazie all’aiuto internazionale, in Italia del Centro di Documentazione delle donne di Bologna. Da sempre impegnata nella ricerca della verità sulla sorte degli scomparsi, è stata una delle prime, in Cile, a promuovere l’apertura dell’inchiesta, e del processo quindi, contro i responsabili della morte del proprio congiunto.

Mio marito lavora nell’università cattolica, nella stessa facoltà dove lavorava Omar. E’ molto bravo, di una generosità incredibile perché ha dovuto condividere me con un altro marito, tutta la vita. Sì, mi hanno costretto a vivere con due mariti, perché è vero che Omar è scomparso, ma vive sempre con noi, tutti i giorni. Mio figlio più piccolo ha avuto dei problemi, ha dovuto cambiare di classe, perché una volta la maestra gli disse che era figlio unico. Mio figlio reagì: “No, non sono figlio unico, ho altre due sorelle, mia madre aveva un altro marito e l’hanno ammazzato durante la guerra che c’è stata qui nel Cile. Alle volte io l’accompagno a mettere i fiori sopra una tomba che ha il nome del padre di mia sorella più grande, però è una tomba finta, lei finge che sia lì, ma lì non c’è, perché non sa dove lo hanno lasciato quelli che hanno ammazzato tutta la gente, durante la guerra”. Allora i bambini: “Ma che guerra c’è stata in Cile?”. Loro infatti non ne sanno niente. La maestra allora non ha fornito alcuna spiegazione e da quel momento nessun bambino è più venuto a casa nostra.

La mia stanza era al secondo piano, quel giorno era la festa degli insegnanti e svegliandomi la prima cosa che avevo chiesto era di accendere la radio per sentire il discorso che il ministro dell’Educazione doveva fare a tutti gli insegnanti del Cile. Ricorderò sempre quando la tata gridò dal pianoterra che non lo trovava perché c’erano soltanto marce militari.Tutte le stazioni trasmettevano marce militari. Allora mi buttai giù dal letto perché avevo capito che era arrivato il “colpo”.

Le indicazioni che avevamo erano di andare ognuno al suo posto di lavoro: così aveva chiesto il Presidente anche attraverso la radio. Allora io sono andata al mio liceo, il numero due, di Temuco, un liceo pubblico, e mio marito all’università cattolica. Quel giorno sono stata per tutto il tempo a scuola, con dei ragazzi e anche con alcuni colleghi. Sempre ascoltando la radio. Pensando che a Santiago potevano fermare il golpe. E invece niente. Allora siamo tornati a casa e abbiamo cominciato ad ascoltare il famoso bando, ossia gli ordini che lanciava la giunta militare a livello nazionale. Poi cominciarono a uscire anche quelli a livello locale.
Cercavamo di contattare i compagni, il sindacato. Omar era dirigente del sindacato unico dei lavoratori dell’Educazione, uno dei sindacati più grandi del Cile, molto forte, l’unico sindacato che non aveva fatto sciopero contro Salvador Allende. Quindi sapevamo che la repressione contro i professori sarebbe stata molto dura. Difatti a Temuco dopo i primi giorni diedero la responsabilità di ripulire il settore educazione alla Forza Aerea del paese.
Sentivamo i bandi. Nel bando numero sedici c’erano i nomi di diversi professori. C’era quello di mio marito e c’era il mio. Diceva che dovevamo presentarci entro otto ore alla caserma più vicina, perché in caso contrario saremmo stati fucilati. Mio marito non si presentò. Nessuno voleva c ...[continua]

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