Piero Dorfles, studioso della comunicazione di massa, lavora alla Rai nel settore ricerca.

Stiamo assistendo, a livello italiano e mondiale, a profonde trasformazioni nel sistema televisivo. Quali sono gli scenari futuri possibili?
Credo che il momento sia abbastanza felice. Il quarantennio della televisione italiana cade in un momento di ristrutturazione e questo, forse, non è un caso perché questa maggiore età della televisione comporta dei cambiamenti. Cambiamenti che sicuramente hanno a che fare con le tecnologie e con i contenuti, non soltanto con la maturazione del mezzo e dei linguaggi. Per quanto riguarda le prospettive bisogna guardare, come al solito, agli Stati Uniti, dove in qualche modo tutto è un po’ più avanti che da noi. Questo non perché siano più bravi o perché la loro televisione sia migliore -perché sicuramente la nostra è più interessante, più divertente, più colta, più ricca-, ma perché lì è cominciato tutto e quindi sia il mercato che le tecnologie sono più avanzate. Negli Stati Uniti è accaduto questo: da un panorama abbastanza monolitico, quello delle tre grandi reti televisive nazionali ABC, CBS e NBC, si è passati, negli ultimi anni, a una molteplicità di trasmittenti e questo non solo perché sono nate le televisioni via cavo, ma anche perché le tre grandi reti nazionali hanno cominciato a perdere pubblico. Secondo me un motivo di questo cambiamento va ricercato nella pubblicità. A furia di rimpinzare i loro palinsesti di pubblicità le grandi reti hanno finito per diventare poco “referenziali”.
Cosa accade, infatti, quando un media tende a parlare fondamentalmente di pubblicità, a parlare di se stesso, a riportare sempre gli stessi uomini, le stesse scene, le stesse persone, gli stessi personaggi, continuando all’infinito lunghe serie? Accade che il media, parlando solo di se stesso, non informa di quello che succede nel resto del mondo, non dà strumenti di analisi e di conoscenza che trasformino in qualche modo lo spettatore. Insomma, quella macchina di produzione di conoscenza che è la comunicazione di massa, in particolare la televisione, ha cominciato a perdere colpi proprio perché trasmetteva poca informazione e poca conoscenza.
E’ per questo che la televisione via cavo e le televisioni locali, quelle che hanno un rapporto diretto con i problemi del pubblico, hanno cominciato a prendere il sopravvento. In pochi anni le tre grandi reti nazionali, le più ricche, le più costose, sono passate dal 90% del pubblico nazionale al 60%. Hanno perso più di un terzo del loro pubblico, e tendono a perderne ancora, a favore delle reti locali e delle reti a pagamento. Le reti a pagamento sono quelle che, non avendo pubblicità o avendone molto poca, trasmettono più informazione, più film, più intrattenimento, cose che hanno riscontro sul piano della conoscenza.
Certo gli Stati Uniti sono notoriamente un paese poco colto e un po’ brutale nell’organizzare lo scambio di conoscenze, ma mi sembra totalmente legittimo pensare che anche da noi questo tipo di tendenza si farà strada. Questo non soltanto perché da noi esiste molta pubblicità, in particolare nelle emittenti private, ma anche perché la televisione tende un po’ a sedersi su se stessa, ad autoalimentarsi, a non trovare spazio per il nuovo, a preferire l’intrattenimento all’informazione e soprattutto a non essere capace di inventare forme di comunicazione che siano adatte al mezzo di comunicazione di massa.
Infatti, anche se ci sarà questo cambiamento, anche se in qualche modo si apriranno delle reti a pagamento più colte, più raffinate, anche se si potranno avere degli strumenti di informazione più referenziali di quanto sia avvenuto fino ad ora, rimane il problema di fondo, quasi una contraddizione intrinseca al mezzo: la comunicazione di massa deve arrivare alle masse, se no è comunicazione di élite e come tale non può parlare a tutti. E’ una contraddizione, ma se una rete volesse fare solo cultura di alto livello non sarebbe più un mezzo di comunicazione di massa; contemporaneamente, però, se non riesce ad essere referenziale, cioè a portare a tutti gli strumenti di comunicazione, tende a perdere pubblico.
Dove sta la via d’uscita? Non è difficile dire che, in realtà, è tutto un problema di linguaggio e la televisione, come tutti i mezzi di comunicazione, ha il suo linguaggio. Questo linguaggio è stato fino ad ora in qualche modo mutuato dai linguaggi preesistenti, dal cinema, dai giornali, ma difficilmente è r ...[continua]

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