Una delle sfide più significative dell’invecchiamento della popolazione è legata al bisogno di assistenza per un numero crescente di anziani. Inoltre, il contesto della demografia dell’assistenza (Demography of Care) sta notevolmente cambiando, con una quota crescente di anziani senza figli o con tutti i figli che vivono lontani, e flussi migratori in continua evoluzione.
L’Italia, come altri paesi dell’Europa meridionale, ha storicamente fatto affidamento sul sostegno informale delle reti familiari per rispondere ai bisogni degli anziani non autosufficienti. Il welfare familistico si è basato su due pilastri fondamentali: l’alta fecondità, che garantiva un potenziale caregiver tra i figli, e bassi tassi di occupazione femminile, che rendevano le donne disponibili per la cura a lungo termine di genitori o parenti anziani. Un ulteriore fenomeno demografico ha caratterizzato i paesi dell’Europa meridionale: dagli anni Novanta fino a tempi recenti, un massiccio afflusso di migranti ha parzialmente sostituito le donne lavoratrici come caregiver per gli anziani non autosufficienti. I migranti hanno fornito manodopera a basso costo, permettendo alle famiglie più benestanti di sollevare dai compiti di cura gli adulti (soprattutto le donne). Questo è stato anche favorito da politiche pubbliche orientate a fornire benefici economici piuttosto che servizi sociali diretti per gli anziani.
Cresce il bisogno di supporto
Sebbene il welfare familistico abbia funzionato efficacemente per molti anni, nell’ultimo decennio il sistema ha iniziato a mostrare i suoi limiti. Il calo della fecondità, accelerato dalla Grande Recessione del 2008, non sembra arrestarsi. La percentuale di donne senza figli è aumentata, raggiungendo in Italia il 20% tra le donne nate negli anni ’70. L’aumento del fenomeno della childlessness (assenza di figli) significa che, entro il 2040, un quinto della popolazione anziana italiana non potrà contare su figli per ricevere assistenza.
Un altro fenomeno demografico strutturale comune a quasi tutti i paesi sviluppati è l’ingresso nella terza età delle coorti del baby boom, che ha aumentato il numero di anziani potenzialmente bisognosi di assistenza. Sul fronte migratorio, invece, i grandi flussi che caratterizzavano l’inizio del secolo hanno rallentato, e anche la popolazione migrante sta invecchiando.
La quota di persone di 75 anni e più che vive da sola è in aumento nel tempo e le previsioni mostrano una tendenza alla crescita anche per il futuro (Istat 2024). Si prevede che nel 2043 queste micro famiglie saranno oltre 4 milioni (oggi sono meno di 3 milioni). Si tratta di una fascia di popolazione con bisogni specifici e particolari problematicità legate all’invecchiamento, che messe insieme alla condizione di vivere soli, può fare esplodere la richiesta di supporto.
È quindi fondamentale capire come varia l’aiuto ricevuto dagli anziani nel tempo e se il “care mix” (fra le diverse fonti di assistenza) sia cambiato con le grandi trasformazioni demografiche in atto.
Che tipo di aiuto hanno ricevuto le famiglie?
Per una corretta valutazione dell’assistenza ricevuta dagli anziani negli ultimi 25 anni si fa ricorso all’indagine dell’Istat “Famiglia e Soggetti Sociali” effettuata nel 1998, nel 2003, nel 2009 e nel 2016 (i dati dell’ultima, condotta nel 2024, saranno disponibili a breve). Con questa indagine è possibile cogliere i cambiamenti intervenuti nel tempo sugli aiuti che le famiglie hanno ricevuto. Si tratta di aiuti gratuiti forniti da persone non coabitanti, servizi alla persona o alla casa pagati direttamente dalle famiglie e infine quelli forniti dalle istituzioni pubbliche.
La quota di persone sole di 75 anni e più che hanno ricevuto almeno un aiuto nelle quattro settimane precedenti l’intervista è aumentata nel tempo. La quota di quanti hanno ricevuto aiuti informali si è leggermente ridotta, soprattutto a causa del complessivo invecchiamento della rete di sostegno a cui fanno riferimento queste persone. Altra causa è da cercare nella maggiore lontananza geografica dai figli e il numero ridotto di figli che possono fornire questo tipo di aiuto. Parallelamente la quota di quanti hanno fatto ricorso ad aiuti a pagamento è aumentata significativamente (+10 p.p., era il 17% nel 1998). Anche la presenza di un sostegno pubblico è più evidente (+5 p.p., il 6% nel 1998). Queste prime analisi mettono in luce come il supporto a queste persone sia aumentate nel tempo, ma anche, come nel tempo, gli ultra settantacinquenni che vivono soli si siano affidati ai propri mezzi (familiari o privati) con i servizi offerti dal settore pubblico ancora marginali sebbene crescenti.
La diminuzione del supporto informale
Molto spesso le necessità delle famiglie in generale, e delle persone sole di 75 anni e più in particolare, non riescono a essere coperte da un’unica fonte. Dai dati emerge chiaramente come sempre più spesso le persone sole di 75 anni e più abbiano bisogno di combinare diverse fonti di sostegno. Nel 2016 il 15% di queste persone ha fatto ricorso alla combinazione di due o più aiuti, contestualmente la quota di quanti non hanno ricevuto nessun aiuto è scesa dal 57% del 1998 al 52% del 2016. Se si analizza la composizione degli aiuti ricevuti, si può notare come il potersi appoggiare unicamente agli aiuti informali è una caratteristica che si sta riducendo in questa fetta di popolazione (dal 22% del 1998 al 16% del 2016). Inoltre, sempre più famiglie fanno ricorso, come sostegno esclusivo, agli aiuti a pagamento (colf e assistenti alla persona), con una quota che si avvicina molto a quella di chi ha unicamente gli aiuti informali come sostegno.
Rimane positivo che oltre il 50% della popolazione più anziana non riceve alcuna forma di aiuto (sperando che la motivazione sia un buono stato di salute e non una domanda non soddisfatta), ma la diminuzione del supporto informale, che oltre a fornire l’aiuto materiale, fa sentire le persone inserite in una rete, può essere un campanello di allarme sul senso di solitudine che queste persone potrebbero provare.
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