Michael Kazin è redattore emerito di “Dissent”. Il suo ultimo libro è What It Took to Win: A History of the Democratic Party (Picador, 2023).

I progressisti devono lottare e organizzarsi per una politica che si concentri in modo coerente e convincente sulle disuguaglianze di classe.
Forse l’unica conseguenza positiva nella vittoria del candidato più deplorevole e dei suoi fedelissimi è che ora i progressisti dentro e fuori del Partito democratico sono finalmente tutti uniti per un unico scopo: far tornare in auge un populismo combattivo di sinistra.
Dalla Grande Recessione, mentre i populisti autoritari di destra guadagnavano forza in tutta Europa, i socialdemocratici non hanno saputo proporre un’alternativa coerente e hanno vinto solo, come nel Regno Unito, quando i loro contendenti si dimostravano totalmente incapaci di governare. Sia dall’altra parte dell’Atlantico che negli Stati Uniti, la sinistra e il centro-sinistra hanno continuato a perdere il sostegno degli elettori autoctoni senza un’istruzione universitaria, che considerano l’economia attuale e futura come un gioco truccato contro di loro.
Ora abbiamo la possibilità di conquistare il voto e l’approvazione di quegli americani comuni che ritengono che il Paese abbia intrapreso una via sbagliata, persone che ancora non sono salite sul carro di Trump, un presidente le cui politiche avvantaggiano principalmente le grandi aziende e sono alimentate da rancore e risentimento del tipo più odioso. Tuttavia, servirà molto di più che slogan improntati sulla formula dell’“economia delle opportunità” -il fulcro della campagna di Kamala Harris, che non ha minimamente convinto i lavoratori a votare per lei.
Ecco cinque modesti suggerimenti su come stimolare il revival populista di cui abbiamo un urgente bisogno: per prima cosa, dobbiamo promuovere alcune politiche che siano al contempo abbastanza popolari e in grado di rendere più sicura la vita della maggior parte degli americani possibili. Questi potrebbero includere l’istituzione di un programma universale di istruzione pre-scolare, un salario minimo di 18 dollari all’ora o più, rigidi controlli sui prezzi dei farmaci e il diritto all’aborto e alla contraccezione. La chiave è decidere alcune politiche fondamentali e promuoverle con determinazione, usando un linguaggio comprensibile agli americani, invece di termini pensati per accontentare tutti ma che non ispirano nessuno.
In secondo luogo, dobbiamo candidare alle varie posizioni elettive persone che siano in primo luogo lavoratori salariati o piccoli imprenditori, in modo che si possano conquistare la fiducia di quei gruppi di elettori. Quest’anno, nel distretto di Washington, che Trump pensava di vincere con facilità, la candidata democratica al Congresso Marie Gluesenkamp Perez, proprietaria di un’officina di autoriparazioni, ha aumentato il suo margine di vittoria del 2022 parlando specificamente di temi che sapeva essere a cuore dei suoi elettori, temi che includevano l’accesso ai servizi di salute riproduttiva e la lotta contro il contrabbandato del fentanyl attraverso il confine. “Servirànno candidati che siano genitori di bambini piccoli, persone delle comunità rurali e lavoratori manuali, e che vengano presi sul serio,” ha detto al New York Times. In Nebraska, Dan Osborn ha perso la sua corsa indipendente per il Senato. Tuttavia, il meccanico ed ex presidente della sua sezione sindacale ha ottenuto quasi otto punti in più rispetto a Harris in quello stato, con una piattaforma simile a quelle dei Democratici negli stati tradizionalmente progressisti.
Un terzo elemento sarà il lavoro a stretto contatto con i sindacati e la pressione perché vengano introdotte leggi che possano rendere più facile la sindacalizzazione nel settore privato. Sì, sia Biden sia Harris hanno preso parte a picchetti e perorato il Pro act, legge che protegge la sindacalizzazione. Ma i politici progressisti e gli attivisti devono portare il tema della promozione del sindacato al centro della loro retorica, parlarne tutto l’anno. Solo i lavoratori possono organizzare i propri sindacati. Ma non c’è alcun vero populismo di sinistra che possa reggersi senza istituzioni che rappresentino e combattano per i bisogni e le idee del “popolo” stesso. Questo autunno, i democratici della contea di York, nello stato della Pennsylvania, hanno scelto come sede del comitato elettorale un edificio di proprietà dell’International Brotherhood of Electrical Workers, sindacato del settore dell’elettricità. In quello che è uno stato “rosso”, Harris ha portato a casa un risultato simile a quello ottenuto da Biden quattro anni fa. Senza quel tipo di sostegno dalla struttura sindacale, il partito non avrebbe trovato neppure un posto in cui riunirsi.
Quarto, costruire Partiti democratici capaci di reclutare attivisti da ogni parte dei loro stati, con l’obiettivo di creare un movimento duraturo, e non un’organizzazione che si anima solo all’inizio di ogni campagna elettorale. L’esempio di un tale partito si trova nel Wisconsin, uno stato politicamente instabile (“purple”), dove, dal 2019, Ben Wikler ha guidato un’organizzazione con uffici sparsi in tutto lo stato e che lavora costantemente con sostenitori di ogni causa progressista. I Democratici in Wisconsin hanno ottenuto una serie di vittorie in cariche che vanno dal governatore alla Corte Suprema dello stato fino alla legislatura. Harris ha perso il Wisconsin per soli 29.000 voti, il margine più ridotto nei tre “swing states” che circondano i Grandi Laghi. Ma i Democratici del Wisconsin hanno conquistato dieci seggi nell’assemblea legislativa e quattro nel senato statale. Sorprendentemente, Harris ha ottenuto risultati migliori rispetto a Biden nel 2020 nella maggior parte delle contee rurali del Wisconsin.
Quinto punto, il più controverso: i progressisti dovrebbero rinunciare a quel mito a loro tanto caro per cui il fatto di essere “persone di colore” avrebbe un qualsivoglia significato elettorale. Pensare che ci si possa affidare alla mera “solidarietà etnica” per conquistare il voto di un professore nero di un college d’élite, di un collaboratore domestico del Salvador, o di un programmatore informatico che ha famiglia a Mumbai, è un’idea fondata solamente su una pia speranza. L’86% degli elettori neri ha dimostrato che contare sul principio di una comunanza tra le “persone di colore” quando devono esprimere il voto è folle. Le identità etniche continuano a contare, naturalmente; ma farvi appello non produrrà alcuna maggioranza nei seggi elettorali.
Non sarà facile per i democratici imbracciare questo “populismo di sinistra”. Ci sarà qualcuno dell’establishment democratico che sosterrà di dover riportare in auge quella cauta moderazione con cui, negli anni Novanta, Bill Clinton era riuscito a sconfiggere ben due candidati repubblicani, neoliberali di ferro decisamente non-populisti. Ma se i progressisti credono davvero che alla radice dei nostri problemi come Paese vi siano le differenze di classe, e che siano queste a provocare un malcontento tanto diffuso, allora dovranno lottare per organizzare una politica che si concentri su quel tema in una maniera coerente e persuasiva. Con Trump e i suoi sgherri al potere in ogni ramo del governo federale, non ci vorrà molto prima di scoprire quanto l’alternativa a questa via possa essere terribile.

(Traduzione di Stefano Ignone. Articolo originale all’indirizzo: https://www.dissentmagazine.org/online_articles/toward-a-revival-of-left-populism)