Giulio Giorello insegna Filosofia della Scienza all’Università Statale di Milano.

Nell’introduzione a una raccolta di fumetti di Dylan Dog, lei sottolinea la necessità della “zona del crepuscolo”, come recita il titolo di une delle storie, ma questa zona è visibile oggi che viviamo nell’epoca della scienza?
La luce è sempre tale nello sfondo di un’ombra.
Lo si vede molto bene anche nel secolo dei lumi -il periodo dell’illuminismo, di Voltaire, Diderot, D’Alembert- che è anche il secolo della “gothic novel”, di un gusto letterariamente ricercato e sofisticato per le storie di spettri e di fantasmi.
Non che questo tipo di storie non ci fosse anche prima, ma prima erano prese al loro “valore di cassa”, immediato, ed erano inserite in tradizioni popolari, in ammonizioni moralistiche, in letteratura edificante, mentre nel ‘700 subiscono una sorta di “slittamento” e diventano sia momento di piacere letterario che di riflessione filosofica. E’ una delle tante facce del ‘700 illuminista.
Secondo me non bisogna mai dimenticare che la luce è tale sullo sfondo dell’ombra: se tutto fosse luce non vedremmo neanche la luce, quindi l’ombra è necessaria. Si dovrebbe fare, ma credo l’abbia fatto a suo tempo Borges, una sorta di elogio dell’ombra, come, curiosamente, lo tessevano alcuni entusiasti nella cultura puritana inglese del Seicento, notando che Dio non può essere solo luce, ma ha anche un suo lato oscuro, e tener presente la faccia oscura di Dio ci permette anche di vivere meglio. In questo senso Dylan Dog ci racconta il lato oscuro, ci porta nella zona del crepuscolo, cioè nella spazializzazione del momento in cui le due regioni della luce e dell’ombra si confondono, in cui non è più tanto facile tracciare un confine netto. Secondo me, poi, è riduttivo considerare tutta la grande tradizione del romanzo gotico e delle “ghost stories” in senso stretto, quindi anche un fumetto come Dylan Dog, come uno sfogo dell’irrazionale dovuto al fatto che oggi saremmo così pieni di razionalità, è un modo troppo semplice di presentare le cose.
Un grande pensatore del primo illuminismo scozzese, David Hume, che nei suoi testi fa l’elogio del ragionamento plausibile, del modo attento di guardare le cose, dei ragionamenti fondati o sui chiari principi della matematica o sull’esperienza, alla fin fine, però, dice che la ragione non è la signora delle passioni, ma è la serva delle passioni, non ciò che le governa, ma ciò che le serve.
E’ quindi sempre difficile tracciare una discriminante netta tra razionale e irrazionale, anche se è ovvio che nella vita di tutti i giorni, e anche nelle discussioni filosofiche, definiamo alcune aree come razionali in contrasto con altre definite irrazionali, ma queste non sono discriminazioni date per sempre, quanto dei cambiamenti di illuminazione. E’ come se ogni tanto noi spostassimo il nostro lume: ciò che era in ombra si illumina, ma quello che prima era illuminato ritorna a sfumare nel buio. La nostra ragione è un semplice scandaglio, come una candela o una lucerna che ci fa luce quel tanto che ci permette di capire la situazione e di agire, ma è mobile, si sposta, ed è alla luce di questa “ragione mobile” che ci rendiamo conto che la dimensione dell’irrazionale non va censurata, che è un elemento costitutivo dell’uomo. Un elemento con cui ci troviamo continuamente a fare i conti e non credo sia facilmente liquidabile dicendo che, siccome siamo nell’epoca del trionfo della scienza e della tecnica, l’irrazionale ormai ha solo posto tra le vignette di un fumetto. Sapere che l’irrazionale è qualcosa con cui facciamo i conti continuamente non vuol dire darsi all’irrazionale o lasciarsi sommergere dal più delirante irrazionalismo.
Tante volte il razionalismo spinto all’eccesso e l’irrazionalismo selvaggio sono le due facce, apparentemente opposte, della stessa medaglia, mentre bisogna invece che la moneta non cada né dall’una né dall’altra parte. Bisognerebbe che restasse sul margine...
Dylan Dog, almeno per come viene in genere recepito, sembra però solo un elogio dell’irrazionale, un abbandonarsi a esso...
Non mi pare. Quello che in Dylan Dog trovo simpatico, piacevole, è la capacità di costruire delle situazioni che rompono con gli stereotipi. Attualmente molta di quella che noi chiamiamo pomposamente “realtà” è semplicemente un insieme di stereotipi e certamente chi ha una concezione un po’ bloccata, statica, della realtà considererà Dylan Dog un’escursione nei più paz ...[continua]

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