Prima che lei partisse per Genova io e mio marito Roberto eravamo un po’ preoccupati, c’era in quei giorni un clima di terrore, di paura, i media parlavano di probabili attentati, di dichiarazioni di guerra. Qualche sera prima che Sara partisse andammo insieme ad una conferenza dove due missionari spiegarono perché loro si sarebbero recati a Genova. Ci parlarono di fame, miseria, malattie, debito dei paesi poveri, interesse dei paesi ricchi, mi vergognai della mia ignoranza e pensai che tutto ciò mi riguardava e che era giusto che Sara andasse a Genova, anche per me.
Il giovedì Sara partecipò al corteo dei migranti e ci telefonò felice, tutto bello, colorato, allegro, una vera festa di gente e di colori, per i diritti degli immigrati e emigrati di tutto il mondo.
Il venerdì sera Sara ritelefonò e disse che era sconvolta per la morte di Carlo Giuliani e che lei e Madù, l’amica con la quale era andata a Genova, dopo aver dormito una notte allo Stadio Carlini, avrebbero dormito in una scuola, sede del Genoa Social Forum, dei legali, dei media e dei sanitari. Io e mio marito Roberto eravamo più tranquilli pensando a Sara e Madù, col sacco a pelo, in mezzo ai giornalisti, agli avvocati, ai medici.
La sera del sabato lei ci telefonò di nuovo, dopo la manifestazione, raccontando che tutto andava bene: non era successo nulla né a lei né ai suoi amici, e avrebbe preso il primo treno per Milano per tornare a casa. E’ andata con Matteo ed Ivan, due suoi amici, alla scuola Diaz-Pertini, per ritirare il suo zaino, e da quel momento noi l’abbiamo persa fino al lunedì sera alle ore 23,30 quando l’abbiamo riabbracciata all’uscita dal carcere di Vercelli.
Nel frattempo, in quelle lunghissime ore, noi abbiamo scoperto, dopo innumerevoli telefonate alla questura di Genova, che Sara era stata arrestata senza sapere perché, che era stata ferita riportando un “trauma cranico” senza sapere dove né da chi, che era stata portata in carcere senza sapere quale. O meglio ci dicevano ad ogni telefonata che si trovava in un carcere diverso, Pavia, Voghera, Alessandria, Vercelli, ma quando chiamavamo le diverse carceri ci rispondevano che Sara non era lì, non era mai arrivata in nessun carcere. Mi è sembrato di colpo di essere precipitata in un altro paese, in un’altra epoca, non ero più in Italia nel Luglio del 2001, ma in Cile ai tempi di Pinochet o nell’Argentina dei colonnelli, “da noi” continuavo a ripetermi “non ti spariscono i figli, nel nulla, feriti e sequestrati dalla polizia”.
Scoprirò poi che Sara in quelle ore non era in nessun carcere, era a Bolzaneto. Dopo l’irruzione della polizia alla scuola Diaz-Pertini, dopo essere stata manganellata senza pietà, come altri 62 su 93 arrestati, per il solo fatto di trovarsi lì, è stata portata in barella all’ospedale Galliera dove è stata sequestrata nuovamente dalla polizia, nonostante i punti in testa, il trauma cranico e psicologico, e da lì portata alla caserma di Genova Bolzaneto insieme a molti altri anche loro feriti, alcuni più gravemente di Sara. Una ragazza tedesca aveva la mandibola sfasciata, tutti i denti rotti e, nonostante questo, dall’ospedale è stata portata a Bolzaneto.
Matteo, l’amico di Sara, ferito gravemente, è stato portato all’ospedale San Martino, nemmeno lui ha potuto telefonare ad un avvocato, ai genitori. Loro hanno scoperto cosa gli era successo e dove era finito, perché ad un telegiornale lo hanno intravisto mentre veniva portato fuori dalla scuola in barella.
Nessuno ha mai detto loro perché fossero stati arrestati, dove si trovassero, dove li avrebbero portati, nessuna telefonata permessa né ad avvocati né ai familiari, in contrasto con quanto previsto dalla Costituzione, dalle nostre leggi in caso di arresto.
Non solo non sono stati protetti durante l’arresto e la permanenza a Bolzaneto, ma hanno dovuto sottostare a gravi abusi, violenze, ingiurie, un clima di terrore che sembrava non finire mai, la sola colpa: l’aver partecipato in Italia nel luglio del 2001, ...[continua]
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