La proposta era stata discussa in un incontro avvenuto a Tel Aviv, nella sede del Partito laburista, fra Shimon Peres, Saed Erekat e una delegazione dell’Internazionale socialista (Ayala, Massimo D’Alema e Jagland), dopo che il consiglio dell’I.S. riunito a Madrid il 7 e 8 febbraio 2004 aveva auspicato “la possibilità di un’associazione più stretta di Israele e Palestina con l’Ue”. D’Alema si è fatto promotore della proposta (interviste del 25 e 28 marzo sull’Unità e La Repubblica); su Panorama l’ha presentata in questi termini: “ho lanciato l’idea di una associazione speciale all’Unione Europea di Israele, Palestina e Giordania, e di stabilire un legame con la Nato di Egitto e Iraq, secondo la formula della partnership for peace”. Adriano Sofri, uno dei commentatori che hanno sempre sostenuto l’entrata di Israele nell’Ue, ha ripreso più o meno la formula di D’Alema, esprimendo su Panorama del 29 marzo “l’auspicio dell’ingresso di Israele nell’Unione Europea (accompagnato da un’associazione peculiare di Palestina ed eventualmente Giordania)”.
Peres è forse più preciso: l’11 febbraio ha detto: “l’Ue dovrebbe offrire a Israele, a uno stato di Palestina e alla Giordania -che formerebbero una specie di Benelux- la piena adesione all’ Europa o almeno uno status pari a quello dei paesi dell’Efta. Questi stati e altri paesi del Medio Oriente, come l’ Egitto, dovrebbero inoltre essere ammessi alla Partnership for Peace, un organo affiliato alla Nato” (tutti i corsivi sono miei).
Nonostante la diffidenza che non possiamo non avere verso Peres, e nonostante i termini ambigui usati da D’Alema (“associazione speciale”), la proposta va presa in considerazione e valutata attentamente. Infatti, nonostante che Peres non sia nuovo all’idea di far entrare Israele in Europa (“Saremmo molto felici di diventare membri dell’Unione europea”, aveva detto nel giugno 2001 alla Conferenza dei Presidenti del Parlamento europeo, commentando una proposta dei radicali italiani), la novità è che questa volta si propone l’ingresso in Europa non solo di Israele, ma anche della Palestina -si ipotizza la nascita imminente di uno stato palestinese (“nascerà prima di quanto si pensi”, dice Peres)- e della Giordania. Non si tratterebbe più, dunque, di trascinare Israele fuori dal suo contesto mediorientale sentito come ostile ed estraneo, per riportare la “democrazia israeliana” all’interno del mondo occidentale di cui sarebbe parte integrante; al contrario, l’Europa assorbirebbe tutta una parte del Medio Oriente, Israele insieme con i due stati arabi vicini. Sorge il sospetto che la Giordania sia coinvolta da Peres nel suo piano con la speranza che serva da territorio dove scaricare i palestinesi in esubero, i profughi che Israele non vuole o, addirittura, tutta la popolazione araba attualmente residente tra il Mediterraneo ed il Giordano. Certamente sarà utile impegnarsi a conoscere meglio il suo piano, per capire dove vuole arrivare.
Un anno fa, Jeff Halper aveva avanzato la proposta di una “Confederazione del Medio Oriente” (articolo pubblicato su “Una città”, n. 110, febbraio 2003), che delineava una soluzione regionale del conflitto israelo-palestinese: una confederazione che comprendesse Israele e i paesi arabi circostanti, primo fra tutti lo stato palestinese da costruire. Il processo di unificazione sarebbe dovuto avvenire in due fasi: una prima fase in cui si doveva realizzare il ritiro dei coloni e la fine dell’occupazione dei territori pal ...[continua]
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