Profeta armato solo dello spirito di verità che lo animava, Savonarola cercò di resistere alla dimensione politica delle sue predicazioni; riferisce il Ridolfi che non voleva pensare allo stato e alla cosa pubblica e per questo interrogò nella preghiera e nella coscienza Iddio così: “Io sono contento quanto a predicare ordinariamente in reprensione de’ vizi ed aumento delle virtù, qui a Firenze e dove ti piace. Ma che ho io a fare, io, dello Stato di Firenze, a predicarne...”
Allora il Signore gli mostrò come, pure attendendo principalmente allo spirito, egli avrebbe dovuto “fermare tutte quelle cose che conservino e mantenghino lo spirito e le cose con che lo spirito si governa” e come così bisognava fare a Firenze: “volendo che ella sia buona, farli uno stato che le conservi la bontà” (Firenze, A.Tubini ecc. Prediche sopra l’Esodo c/4).
Per questo non mi sembra di condividere nella citazione di Sofri una concezione secondo la quale la libertà coincide con il vizio, mentre “uno stato che conservi la bontà” possa solo essere un’esagerazione moralistica.
Il brevissimo periodo Savonaroliano (circa dieci anni) è riportato in molte memorie come un’età dell’oro. Il Landucci lo definì “piccolo tempo santo” e in qualche modo l’elevatezza morale di gran parte del popolo fiorentino all’epoca somiglia a quella dei seguaci di Gandhi durante le lotte nonviolente per l’indipendenza indiana.
I fanatismi dei roghi della vanità, secondo il Ridolfi, avvennero non più di tre volte (anche Gandhi peraltro promosse i roghi dei tessuti inglesi e la produzione dei tessuti a mano); l’enfasi con cui gli arrabbiati hanno continuato a ripetere questi episodi nei secoli non fa che confermare il bisogno di banalizzare il frate per evitare un serio esame della sostanza del suo messaggio che fu e resta centrale per il problema dello stato e della politica moderna.
Le sue proposte contengono una comprensione di ampia portata sulla Firenze di oggi e di domani: sta a ciascuno far prevalere la scelta del bene, della vita retta e onesta, sia come religiosi che come politici.
Anche Machiavelli condivide nella sostanza la concezione savonaroliana della moralità del potere e della legge quando, in un suo famoso discorso alla Signoria fiorentina, afferma “gli uomini non possono e non debbono essere fedeli servi di quello signore dal quale non possono essere né difesi né corretti”. Compito del potere e della legge è quindi anche di correggere i cittadini, con saggezza e tolleranza certo, con rispetto per le libertà individuali, ma senza rinunciare alla morale pubblica e a una concezione alta della libertà comune, che deve ostacolare o penalizzare dei comportamenti in contrasto con tale libertà.
Migliaia di uomini e donne, in varie epoche hanno sacrificato la propria vita per la libertà di questo paese, che adesso si trova sfigurato nel suo paesaggio, nel suo clima, nella sua morale più essenziale da un consumismo e una concezione del pudore, dell’intimità, della violenza, del sesso, del lavoro che ha devastato la nostra cultura più autentica, la nostra identità di popolo. La guerra dell’oppio non è stato né il primo né l’ultimo episodio che ha dimostrato come si possa schiavizzare un paese inquinandone la libertà.
Il trionfo degli arrabbiati, di Alessandro VI e dei Medici rappresenta, al contrario di quanto crede Sofri, non la liberazione ma la fine della libertà di Firenze, la fine del Rinascimento e l’avvio verso il granducato e la tirannide successiva più o meno bonaria. Il tiranno produce province, il profeta invece accende la città, le dà un senso come centro del mondo.
La parola “piagnoni” è bellissima, è il contrario della superbia, infatti si piange sulle proprie infermità e debolezze, ma chi piange viene anche consol ...[continua]
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