Sembra proprio che le cose siano andate come le abbiamo apprese dai giornali. D’altra parte, è naturale che qua e là per l’Italia ci sia tra i tanti anche un preside così.
E appunto, adesso, ci mancava anche un preside così, per rischiare di veder ripartire le agitazioni studentesche. Le quali non si sono verificate probabilmente perché siamo agli sgoccioli del quadrimestre, in prossimità degli scrutini, un periodo sconsigliato per disturbare l’ordine scolastico: ripassi affannosi, compiti, interrogazioni concentrate, professori ansiosi e irritabili, e, non si sa mai, pronti a vendicarsi tra pochi giorni.
Ma forse gli studenti italiani, a parte quelli di Potenza (ma anche loro molto misuratamente), non si sono fatti né in qua né in là perché hanno sentito che l’episodio era veramente eccezionale e di peso assolutamente insignificante nei confronti del costume in cui sono nati e cresciuti, costume contro il quale non vedono apparire minacce di cui il comportamento di quel preside possa essere un'avvisaglia.
E anche le reazioni della società civile -nonostante la consueta voglia dei mass media di amplificare, tenere vivo e sfruttare al massimo l’episodio- non sono state granché: assomigliano più a un’alzata di spalle infastidita e compassionevole che a un prendere posizione per un combattimento, per il quale manca il terreno e mancano gli schieramenti. Ma figuriamoci! Anche il Ministro, questa volta, ha fatto prontamente il suo dovere disponendo un’inchiesta (anche a garanzia del preside, per eventuali distorsioni calunniose ai suoi danni).
Alla fine, sarà rimasta, per una settimana, nell’immaginario dei ragazzi un’effimera simbologia gestuale: tenersi per mano come forma di rivendicazione e affermazione d’identità. Presto torneranno a tenersi per mano, si spera, per i fatti loro, anche se in questi comportamenti, del tutto accettati e innocentemente ovvi, non manca mai una parte di “recita”, di appagante adesione a modelli, il vivere cioè la propria personale irripetibile esperienza nei modi e nel riconoscimento sociale. Niente di nuovo e niente di strano. Si dice che la massificazione, la potenza del fenomeno moda, la globalità della comunicazione hanno amplificato a dismisura i comportamenti mimetici, che sarebbero un susseguirsi pressoché continuo. La penso anch’io più o meno così.
Ma la vicenda dei ragazzi di Potenza non ha nulla a che fare con tutto ciò. Ci voleva appunto un preside come quello per strapparla alla normalità. Francamente, fa piacere la reazione orgogliosa del ragazzo che rifiuta di subire un abuso, di umiliarsi, perché, si capisce, il preside si sarà rivolto più direttamente a lui, e non indistintamente alla coppia.
Purtroppo della scuola si parla solo o per lo più per clamori, attraverso “scandali”; dipende anche, e sempre più, dalla natura dell’informazione giornalistica, e dalla qualità morale e culturale dei giornalisti. Quel preside ha, in ogni caso, sbagliato perché ha dato ansa ai clamori. La saggezza -la “prudenza” del linguaggio ecclesiastico- d’ogni buon governo vuole per la scuola in particolare che di essa si parli il meno possibile, che resti in uno spazio anche di riservatezza, che i cittadini abbiano altri modi dai clamori giornalistici per occuparsene davvero e controllarla. Altrimenti, piuttosto che migliorarla, la si scompiglia. E’ inerente alla sua natura, al suo modo d’essere efficace, che funzioni con regolarità e monotonia. L’interruzione è un danno in sé e per sé. Così come l’essere distratta dalla sua concentrazione. Dunque sbaglia chi, intendendo difenderla, ne mette a rischio la continuità. Per delle assolute sciocchezze.
E’ ovviamente inevitabile che l’istituzione scolastica e le persone che vi vivono siano investite dai grandi turbamenti della società. Quando a maggio scoppiarono le orribili bombe presso gli Uffizi, la città si raccolse insieme in piazza Santa Croce. Naturalmente, le scuole restarono deserte, di insegnanti e di studenti.
Perché rischiare di vederle deserte di studenti per stupidaggini fuor dalla grazia di dio? e dare pretesto a sproloqui di giornalisti o di “esperti” rendendo ancor più difficile parlarne con responsabilità?
Vincenzo Bugliani
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