In ricordo di Hermann Langbein.
Qualche settimana fa Hermann Langbein doveva essere a Bolzano per parlare ai ragazzi delle scuole superiori su Auschwitz e per cercare di rispondere ad una domanda: “Potrà esserci ancora Auschwitz nella storia dell’umanità?” Una domanda aperta, rimasta senza risposta. Langbein ha dovuto annullare improvvisamente l’incontro. Pochi giorni dopo è morto a Vienna. E’ morto esattamente cinquant’anni dopo la liberazione dei campi di concentramento nazisti, dove era stato rinchiuso per quattro anni e al cui studio avrebbe poi dedicato l’intera vita. Nato a Vienna nel 1912, comunista, nel ’38 partecipa alla guerra civile spagnola nelle file delle brigate internazionali. Nel ’41 viene internato a Dachau, un anno dopo viene trasferito ad Auschwitz dove rimarrà fino al ’44. Nel più famigerato dei campi di concentramento nazisti, Langbein organizza il movimento clandestino interno di resistenza. Nel ’44 viene trasferito a Neuengamme, dove rimarra rinchiuso fino alla liberazione. Dopo la guerra Langbein segue tutti i processi che riguardano i responsabili delle terribili atrocità commesse ad Auschwitz e pubblica numerosi libri e articoli. Il suo libro "Menschen in Auschwitz" (edito in Italia da Mursia con il titolo "Uomini ad Auschwitz") è una delle opere più importanti mai scritte sul tema dei lager. Nella prefazione all’edizione italiana Primo Levi ha scritto che l’opera di Langbein -per la ricerca, il lavoro fatto sulle fonti, la profondità dell’analisi- è un’opera di portata universale. Ma la sua attività non si ferma alla memoria, al ricordo, Langbein vuole, pretende, che si vada oltre la memoria e che i popoli austriaco e germanico affrontino le pagine più oscure della loro storia. L’articolo che viene qui proposto è uno degli ultimi scritti di Langbein. Fino ad oggi era apparso solo in lingua tedesca sul periodico austriaco Informationer der Gesellschaft für Politische Aufklärung, e in Alto Adige sulla rivista Skolast. Si tratta di un’ultima, spietata, riflessione sulle celebrazioni organizzate in tutta Europa per il cinquantennale della fine della seconda guerra mondiale. Langbein parte polemicamente dal rifiuto di una gran parte del mondo accademico e politico tedesco di riconoscere a questa ricorrenza il carattere di Liberazione dal nazionalsocialismo, per denunciare poi l’uso strumentale e politico delle celebrazioni in memoria delle vittime. Un grande testimone di questo secolo chiude la sua vita con un ennesimo gesto di coraggio civile contro il conformismo di chi vorrebbe evitare di fare realmente i conti con il proprio passato.
Anita Rossi, Luca Fregona
L’otto maggio 1995 (in Germania l’otto maggio è la data ufficiale della fine della Seconda Guerra Mondiale, n.d.t.) sono tornate alla luce molte questioni che nell’ultimo mezzo secolo non sono state affrontate: in Germania politici e studiosi di fama, anche se non possono essere considerati di estrema destra, si sono opposti all’idea che la fine della guerra di conquista iniziata da Hitler venga celebrata come la data della liberazione dalla più feroce dittatura. Per loro si tratta ancora di una data che rappresenta la Sconfitta definitiva. In Austria si è data molta importanza nelle celebrazioni alla data del 27 aprile (in Austria è la data che segna la fine della 2° Guerra Mondiale, n.d.t.). Così non si è obbligati a ricordare che molti austriaci videro l’adempimento dei loro doveri nell’esercito di Hitler come una cosa ovvia e onorevole. In questo modo si può celebrare la data del reinsediamento di un governo austriaco (dopo l’Anschluss) dimenticandosi volentieri che nel 1938 il primo ministro Renner cercava di ingraziarsi il grande Reich germanico.
Tutto questo mentre invece quei giorni di cinquant’anni fa, quando gli alleati raggiunsero i campi di concentramento e di sterminio, devono essere celebrati come una inequivocabile “Liberazione”. Questo è ovvio.
Le commemorazioni nei luoghi in cui il regime nazionalsocialista ha mostrato chiaramente il suo carattere profondamente antiumanista, sono iniziate il 27 gennaio ad Auschwitz, per concludersi il 5 e il 6 maggio a Mauthausen e all’Ebensee. Le celebrazioni avrebbero potuto offrire l’occasione per tentare di spiegare a coloro che sono nati dopo, come fu possibile che solo cinquant’anni fa, nel cuore dell’Europa, furono costruite camere a gas di incredibili dimensioni da appartenenti a due popoli con alle spalle un grande patrimonio culturale; come fu possibileche lo sterminio riguardass
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