5 dicembre 2010. Mangiare carne
In base a uno studio pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of sciences”, rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, analizzando dati e proiezioni di Fao e Dipartimento per l’Agricoltura americano, risulta che in futuro la produzione di proteine di origini animale, in particolare bovini, sarà la principale fonte di gas serra. Se la domanda seguirà la crescita demografica, nel 2050 la produzione di proteine animali sarà responsabile dell’80% delle emissioni (contro il 14% del 2000).
(Le Scienze)

7 dicembre 2010. Cittadini del mondo
Riceviamo da un abbonato.
Cari amici, la più vecchia comunità di ghanesi nella provincia di Vicenza, quella che abita all’inizio della Valsugana, sapete come reagisce alla crisi? Gli uomini che hanno preso la cittadinanza italiana vanno a lavorare in Inghilterra o... Giappone. Appena alfabeti, addetti a lavori molto generici, sono comunque cittadini del mondo. Se io perdo il lavoro immagino di andare in depressione, se devo andare un mese in Austria studio tre mesi e mi giro sul letto la notte e mi preoccupo perché credo che i miei figli si sentano orfani (e invece non vedranno l’ora che questo padre li lasci un po’ crescere da soli). Al contrario, questi amici, che faticano ancora a parlare in italiano, mi spiegano con tranquillità come si può essere ghanesi, avere la cittadinanza italiana, e utilizzare il globo terrestre come ambito in cui cercare lavoro e vivere il tutto come la cosa più naturale del mondo. Non so quanto vogliano raccontare di tutto questo (per esempio i sotterfugi per essere stranieri regolari su più paesi in contemporanea), ma comunque potrebbero essere storie interessanti.
(Alberto Bordignon)

9 dicembre 2010. Il buon robot
"Presto le macchine autonome avranno un ruolo importante nella nostra vita. E’ ora che imparino a comportarsi come si deve”.
Nell’ultimo numero delle Scienze, Michael Anderson e Susan Leigh Anderson introducono al complesso campo di chi si occupa di programmare robot che devono interagire con gli esseri umani. Fermo restando che prevedere tutti i possibili dilemmi etici è impossibile, la sfida è quella di dotare la macchina di un principio generale in grado di guidare le loro scelte in momenti critici. I due autori esemplificano la questione prendendo in considerazione il caso di un robot che deve ricordare al paziente di una struttura residenziale per anziani di prendere una pasticca. I doveri che il robot deve bilanciare sono tre: assicurare che il paziente riceva il beneficio dovuto al prendere il farmaco; prevenire il danno che può derivare dal non assumerlo; rispettare l’autonomia del paziente.
Grazie a un algoritmo di apprendimento automatico, il robot di volta in volta calcola i livelli di assolvimento o violazione dei tre doveri cambiando conseguentemente le sue azioni. Se infatti non può avvisare immediatamente il supervisore nel caso il paziente non voglia prendere il farmaco (violerebbe la sua autonomia), qualora il paziente persista a non prendere farmaci e questo produca danni o sofferenza, il robot deve intervenire altrimenti violerebbe il principio di beneficienza. Non è fantascienza: i due scienziati hanno inserito questi principi nella programmazione di Nao, un robot umanoide sviluppato da un’azienda francese. E non sono nemmeno temi marginali perché se la gente dovesse sospettare che i robot intelligenti possono comportarsi in maniera eticamente sbagliata, lo stesso futuro dell’Intelligenza Artificiale sarebbe messo a repentaglio.
Gli autori concludono l’articolo facendo notare che un aspetto interessante di questi studi è che l’etica delle macchine potrebbe avere un effetto positivo anche sull’etica degli umani. Un robot opportunamente addestrato potrebbe persino comportarsi in maniera eticamente più corretta di un uomo e chissà che interagire con robot che rispettano le regole etiche non abbia un effetto benefico anche sugli esseri umani.
(Le Scienze)

18 dicembre 2010. Auto cinesi
A Bahovitsa, Bulgaria, la prossima estate è prevista l’installazione della prima fabbrica di auto di marca cinese in Europa. La scelta della Bulgaria non è casuale: pur essendo un paese dell’Unione europea, vanta ancora tasse basse e un altrettanto basso costo del lavoro.
Il piano è di creare 1220 posti di lavoro e di produrre 50.000 berline, pickup e Suv all’anno.
Per quanto le industrie automobilistiche europee e americane stiano entrando nel mercato cinese, alcuni analisti mettono in guardia sul fatto che presto potremmo trovarci i cinesi a competere in casa. Per ora la possibilità di sfidare i marchi occidentali è remoto.
Il target delle macchine assemblate in Bulgaria è l’Europa orientale.
Poco distante da Bahovitsa, in epoca sovietica, c’era una fabbrica russa di macchine Moskvich. Chiuse all’indomani della caduta del Muro, con l’arrivo del libero mercato, quando nessuno voleva più quelle macchine.
La popolazione del luogo spera che la nuova fabbrica porti lavoro. I manager sperano invece che le macchine vengano comprate, anche grazie a un prezzo molto competitivo. La nuova berlina costerà, infatti, 5000 euro, contro i 6000 della Logan (un modello molto spartano costruito dalla Dacia-Renault, nella vicina Romania). In realtà la vera sfida riguarderà soprattutto lo scetticismo legato ai prodotti cinesi. E poi va risolto il problema dei pezzi di ricambio e di un’infrastruttura di assistenza.
Ma più dei problemi pratici, a contare pare saranno le emozioni. Nei Balcani le macchine più amate sono quelle tedesche, seguite dalle giapponesi, francesi, italiane e coreane. Le auto cinesi ne hanno di strada da fare per scalare questa gerarchia informale.
I Bulgari usano le macchine per impressionare amici e fidanzate, conclude Alexander Dimitrov, manager alle vendite della Dacia-Renault, e quindi "è più facile che comprino una Mercedes vecchia di dieci anni che una nuova auto cinese”.
(www.nytimes.com)

21 dicembre 2010. Una Rete neutrale a metà
La Federal Communications Commission (Fcc) l’ente americano per le telecomunicazioni ha ieri preso la sua decisione sulla Neutralità della Rete: internet resterà neutrale, ma solo per quanto riguarda la telefonia fissa, permettendo invece agli operatori di telefonia mobile alcune limitazioni. La proposizione è passata con tre voti (democratici) contro due (repubblicani). Questo voto "farà avanzare il nostro obbiettivo di avere in America la rete a banda larga più rapida e più libera del mondo”, ha commentato il Presidente della Fcc, Julius Genachowski.
La non applicazione delle medesime regole agli operatori fissi e mobili sarebbe stata spiegata dalla Fcc con la motivazione che si tratta di due stadi diversi di sviluppo; ciononostante gli Internet provider di telefonia mobile non avranno il diritto di bloccare l’accesso a siti o applicazioni legali che sono in concorrenza con i loro servizi (traffico video o voce).
Le nuove regole autorizzeranno i fornitori di linea fissa a far pagare i consumatori in funzione del loro utilizzo su Internet.
Le nuove regole sembrano ricalcare la proposta Google-Verizon della scorsa estate: in agosto gli amministratori delegati di Google, Eric Schmidt, e quello dell’operatore Verizon, Ivan Seidenberg, proposero un documento per la Neutralità della Rete che prevedeva la non discriminazione e il libero accesso ai contenuti legali per la banda larga fissa, la sola trasparenza per quella mobile, un ruolo di mediatore per la Fcc e possibilità di sviluppare una rete parallela a quella pubblica rappresentata da Internet.
Quindi libero accesso e non discriminazione per la banda fissa, ma non per quella mobile che guarda caso è uno dei mercati in espansione su cui Google, ma non solo, hanno messo gli occhi.
(Europa451)

23 dicembre 2010. Carcere
Un detenuto magrebino di 35 anni si è ucciso la notte scorsa inalando gas da una bombola, nel carcere di Sollicciano. Sale dunque a 63 il numero dei suicidi nel penitenziario fiorentino dall’inizio del 2010. Venerdì scorso, sempre a Sollicciano, si era impiccato un assistente capo della polizia penitenziaria, di 42 anni, in servizio presso il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria del capoluogo toscano, già in congedo straordinario per malattia.
(Ristretti Orizzonti)

28 dicembre 2010. Una piccola casa editrice
Fondata nel 2004, la neonata casa editrice Connectum ha già un catalogo di cento libri, pressoché tutti in bosniaco, tranne un paio, scritti da due autori espatriati e pubblicati in inglese, ma reperibili solo in Bosnia. Connectum infatti non ha un distributore internazionale.
A parlarne è il periodico Dissent, avanzando l’auspicio che la voce dei bosniaci musulmani arrivi presto anche in Occidente. Perché c’è una grande differenza tra il leggere autori bosniaci, per quanto tradotti e il racconto che ci arriva tramite scrittori stranieri.
La decisione di partire con un progetto editoriale senza appoggiarsi ad editori inglesi e a un distributore internazionale rivela una grande fiducia sulle potenzialità di raggiungere un pubblico vasto. Per ora i libri e gli autori pubblicati da Connectum sono destinati a rimanere confinati alle principali città della Bosnia, ma con l’entrata in Europa non è detto che le cose non cambino.
L’augurio di Dissent è che presto si presentino un editore e un distributore disposti ad assumersi il rischio di tradurre le voci originali della Bosnia, così come degli altri paesi dei Balcani. Ne beneficerebbe la letteratura così come questa piccola nazione ancora ferita.
(Dissent)

29 dicembre 2010. Part-time e daddy day
"Remco Vermaire è un uomo ambizioso e, a soli 37 anni, il partner più giovane di uno studio di avvocati. I suoi clienti lo cercando costantemente, tranne al giovedì, il giorno in cui Remco si occupa dei suoi due figli”. Così comincia un lungo articolo sui tempi del lavoro nel XXI secolo pubblicato sull’Herald Tribune. Pare che in Olanda lavorare quattro giorni alla settimana sia più la regola che l’eccezione. Remco fu il primo, nel 2006, a usufruire del "daddy day”. Da allora tutti i colleghi uomini con bambini piccoli hanno seguito il suo esempio. In pratica, anziché fare il part-time classico orizzontale, molti uomini "spremono” la settimana riducendola di un giorno: quello dedicato al fare il papà.
Per ragioni a metà tra tradizione e modernità, tre su quattro donne olandesi inserite nel mercato del lavoro fanno il part time. I settori tradizionalmente femminili come la salute e l’educazione operano in gran parte con il cosiddetto job sharing, una formula apprezzata anche dalle donne senza figli o con i figli grandi. In pochi anni il part-time ha smesso di essere prerogativa delle donne senza ambizioni di carriera e ha cominciato ad attrarre anche i professionisti. Ci sono così manager part-time, chirurghi part-time, ingegneri part-time, ecc. Sta proprio cambiando la cultura. In generale sempre più uomini vogliono poter dedicare più tempo alla famiglia senza rinunciare alla carriera e sempre più donne desiderano fare carriera senza dover rinunciare alla famiglia. Il fenomeno è talmente diffuso che anche gli edifici stanno diventando "flessibili” nel senso che più dipendenti possono occupare lo stesso posto di lavoro. Anche gli orari di punta non sono più quelli di una volta.
Eppure l’Olanda non è sempre stata così, tra il 1904 e il 1940 dodici diversi leggi bandirono le donne spostare da una serie di impieghi. Tant’è che girava la barzelletta che se una donna olandese voleva lavorare doveva farsi suora.
(International Herald Tribune)

31 dicembre 2010. Rabia Sultana
A casa di Rabia Sultana, 21 anni, da qualche tempo c’è un clima di gelo. La famiglia non le parla da quando ha accettato un lavoro da McDonald’s. Suo fratello l’ha accusata di averli disonorati con quell’impiego, in cui, come non bastasse, non solo non porta il burqa, ma deve interagire con degli uomini. Ma non si è fermato qui: le ha rubato l’uniforme, l’ha schiaffeggiata e ha minacciato di romperle le gambe. Insomma sono tutti scandalizzati e però intanto Rabia, di fatto, coi suoi cento dollari al mese sta mantenendo la famiglia, perché il reddito degli uomini di casa è del tutto insufficiente. In Pakistan sta crescendo un’intera generazione di giovani donne che, per sostenere le famiglie, mettono da parte le loro tradizioni religiose e culturali. A spingerle al lavoro non è un’ondata di femminismo, ma la disperazione economica legata a un’inflazione che ha superato il 12%. Rafiq Rangoonwala, a capo di Kfc Pakistan, una catena di fast food, che ha costretto i suoi manager a raddoppiare il numero delle donne entro l’anno prossimo, ha le idee chiare: se il Pakistan non vuole rimanere un paese del terzo mondo deve impiegare delle donne, non è pensabile che il 15% della popolazione possa fornire il reddito per l’85%. Qualcosa si muove. Negli ultimi anni l'occupazione femminile è aumentata del 125%. La strada però è lunga: molte donne subiscono soprusi e abusi dai clienti e una volta a casa sono condannate all’isolamento dalle famiglie. Lo stereotipo per cui le donne che lavorano fuori sono sessualmente promiscue persiste. Alcune catene, come McDonald’s e Makro hanno addirittura istituito dei servizi navetta per le loro dipendenti. Tra le donne intervistate, qualcuna ha raccontato di aver lasciato la famiglia all’oscuro riguardo il proprio lavoro; un’altra ha confessato che il fidanzato le ha offerto una cifra mensile pur di farla restare a casa. Superato il trauma iniziale, molte però si appassionano al lavoro. Per la grande maggioranza di loro, l’esperienza lavorativa è destinata a esaurirsi con il matrimonio. Non per tutte però. Inoltre tra le più giovani queste donne stanno diventando un modello.
(www.nytimes.com)

2 gennaio 2011. L’Algeria: più musulmana e più moderna?
Secondo il quotidiano Liberté durante il 2011 si sono registrati in Algeria 112.878 interventi delle forze dell’ordine contro disordini sociali: un fenomeno in aumento che Rachid Malaoui, Presidente dello Snapa, sindacato della pubblica amministrazione, definisce come "moti spontanei, non inquadrati da nessuna organizzazione e da alcun partito” e che evidentemente segnalano un disagio.
D’altra parte l’Algeria oggi è un paese pieno di contraddizioni: a fianco di una grande ricchezza (nei primi 11 mesi del 2010, il bilancio commerciale era in attivo di oltre 11 miliardi di euro) è in corso un processo di islamizzazione: sono sempre di più le donne con il velo e gli uomini con la barba e il kamis, "il vestito lungo”, e il salafismo prende sempre più piede. Secondo il quotidiano francese Le Monde, la causa va ricercata nella politica di riconciliazione nazionale seguita alle violenze degli anni Novanta: molti islamisti, prima cacciati, hanno avuto il permesso di aprire delle attività in nome della lotta al terrorismo. "E’ il paradosso di questa riconciliazione: la reintegrazione economica degli islamisti per la loro neutralizzazione politica” dice Amel Boubekeur, ricercatore all’Ehess. "Se lo Stato giocasse un ruolo tutto questo sparirebbe”, spiega Daho Djerbal direttore della rivista Naqd. E tuttavia ci sono anche segnali molto positivi: ogni anno in Algeria escono oltre mille libri, da 30 a 40 opere di teatro e presto una cineteca vedrà la luce. "Sembra che le cose non evolvano, ma è vero il contrario”, commenta Mohammed Djehiche, direttore del nuovo Museo d’arte Moderna di Algeri. "La società è più islamizzata nel 2010 che nel 2001, ma l’Algeria resta il Paese musulmano più pronto alla modernità”.
(Le Monde)

3 gennaio 2011. Casa vacanze
Villa Baviera è una casa vacanze in stile bavarese a 350 km a Sud di Santiago del Cile. Il nome teutonico di oggi arriva dal fatto che la tenuta fu un luogo di rifugio per criminali nazisti fondato dall’ex SS Paul Schaefer nel 1961, che ne fece una colonia organizzata come una setta dove l'abuso era all’ordine del giorno. All'epoca la tenuta si chiamava Colonia Dignidad e ospitò figure come Josef Mengele e Martin Bormann, consigliere personale di Hitler, racconta il sito francese Rue89. Dopo il colpo di stato di Augusto Pinochet (11 settembre 1973) la residenza divenne uno dei centri di tortura della Dina (la polizia segreta): Schaefer stesso partecipò attivamente ai lavori. Dal 2007 questo luogo accoglie i turisti sotto il nome di Villa Baviera. Anna Schnellenkamp, responsabile dello sviluppo turistico ammette che il luogo ha un "passato un po’ complicato”, aggiungendo che forse è proprio questo che attira i turisti, per la maggior parte olandesi, tedeschi e spagnoli, anche se la nazionalità più rappresentata resta quella cilena. "I primi tre mesi abbiamo ricevuto 9000 visitatori!” ammette entusiasta la Schnellenkamp. Non è della stessa opinione Hernan Fernandez, avvocato cileno a cui si deve proprio l'incarcerazione di Schaefer: "E’ come se Auschwitz fosse diventato un sito turistico! Come si può prendere il sole dove per oltre trent'anni si è torturato, violentato e ucciso?”.
(www.rue89.com)

4 gennaio 2011. Numeri
I dati sulle crisi aziendali di Veneto Lavoro, agenzia della Regione Veneto, disponibili sino a ottobre 2010, segnalano che continua a mantenersi elevato il numero di aziende e lavoratori coinvolti nell’ampia ristrutturazione in corso. Osservando oltre che i dati di ottobre quelli relativi all’intero periodo gennaio-ottobre 2010 possiamo constatare che: il numero di imprese che hanno annunciato l’avvio delle procedure di crisi risulta aumentato rispetto all’anno precedente mentre rimane pressoché costante il numero di lavoratori coinvolti (se ne deduce che gli annunci tendono ad arrivare da imprese di minori dimensioni o a coinvolgere una quota minore dell’organico aziendale); [...]; il numero complessivo di ore di cig (cassa integrazione guadagni) autorizzate è sempre in crescita, trascinato dalla cig straordinaria dell’industria e dalla cig in deroga dell’artigianato; solo per la cig ordinaria si è in presenza di una fase di riduzione sempre più accentuata; sostanzialmente stabile risulta il numero dei licenziamenti (sia collettivi che individuali). […] Il numero di imprese segnalate in situazione di difficoltà nel corso del 2010 (1.205 nei primi 10 mesi dell’anno, 130 a ottobre) risulta superiore a quello dell’analogo periodo dell’anno precedente (1.189, 112 a ottobre 2009), mentre i lavoratori potenzialmente coinvolti risultano quasi 25.000 nei primi 10 mesi del 2010, dato di poco inferiore a quello del corrispondente periodo del 2009. Non si ravvisano ancora segnali importanti di attenuazione dei fenomeni di crisi. Le difficoltà produttive continuano a interessare in maniera rilevante il metalmeccanico (nei primi 10 mesi del 2010 481 casi su 1.205), nonché in generale le aziende di minore dimensione (711 under 50 dipendenti), ed è collegata a difficoltà di mercato (707) o a riorganizzazioni aziendali che prospettano riduzioni strutturali di personale (139) [...]. Nel mese di ottobre 2010 state concluse 89 procedure di crisi con 2.500 lavoratori coinvolti; nell’ottobre 2009 le procedure di crisi concluse erano state 129 con circa 4.800 lavoratori coinvolti.
Con riferimento alla sola cigs, il monitoraggio avviato dall’Osservatorio di Veneto Lavoro nel dicembre 2008 sui decreti ministeriali di concessione dell’integrazione salariale permette di valutare, con buona approssimazione, la consistenza delle imprese che attualmente hanno unità produttive con trattamenti in corso. Si tratta, al 31ottobre 2010, di 500 imprese. Nei tre mesi successivi (novembre 2010 - gennaio 2011) cesseranno -salvo rinnovo- i trattamenti di sostegno al reddito per i dipendenti in cigs di 245 imprese. Complessivamente, tra licenziamenti individuali e licenziamenti collettivi, nel corso del 2009 si sono registrati in Veneto oltre 33.000 licenziamenti.
(Veneto Lavoro, "Crisi aziendali. L’impatto occupazionale”, Report novembre 2010”)

4 gennaio 2011. Decreto flussi
La distribuzione geografica dei lavoratori stranieri che riusciranno ad ottenere un
posto di lavoro con il prossimo decreto flussi (il primo click- day è fissato per il prossimo 31
gennaio) sarà decisa non solo in base alla quantità di domande, ma anche alla condizione effettiva del mercato del lavoro. Intanto le due province autonome di Trento e Bolzano hanno chiesto e ottenuto una riserva facendo presente che, già oggi, ci sarebbero diecimila lavoratori altoatesini disoccupati. Pare così che a Bolzano non ci sarà posto per nessun lavoratore straniero, mentre a Trento ci sarà posto solo per assistenti familiari.
(Redattore Sociale)

5 gennaio 2011. Un manifesto a Gaza
Un gruppo anonimo di studenti di Gaza, tre ragazze e cinque ragazzi, hanno scritto un documento per esprimere la loro estrema frustrazione contro Hamas, per la folle politica contro i costumi considerati occidentali, contro Israele e infine contro i giochi politici messi in atto da Fatah e le Nazioni Unite. Non sono giovani politicizzati, sono studenti normali semplicemente disgustati e stanchi per le continue umiliazioni, per l'impossibilità di uscire dalla Striscia, e quindi di studiare, per la disoccupazione, per la mancanza di un futuro. Due di loro sono già stati fermati e maltrattati per questo gesto manifesto. Il documento è "incendiario”, come lo descrive il giornalista dell’Observer che ha incontrato i giovani autori di questo "Manifesto dei giovani di Gaza per il Cambiamento” che in internet spopola. Già dalla scelta del linguaggio, questi giovani di Gaza -dove metà della popolazione ha meno di 18 anni- spiegano bene di averne abbastanza: "Noi giovani di Hamas ne abbiamo fin sopra i capelli di Israele e l’Occupazione, di Hamas, delle violazioni dei diritti umani e dell’indifferenza della comunità internazionale!”. "Qui a Gaza dobbiamo aver paura di essere incarcerati, interrogati, picchiati, torturati, bombardati e uccisi”, continua il documento "non possiamo muoverci come vogliamo, dire ciò che pensiamo, fare quello che crediamo, a malapena possiamo pensare liberamente perché l’Occupazione ha occupato anche i nostri cuori e la nostra testa...”.
"Basta! Basta dolore, basta lacrime, basta sofferenza, basta controlli, limiti, giustificazioni ingiuste, terrore, torture, scuse, bombe, notti insonni, civili uccisi... politici fanatici e disturbati, basta balle religiose, basta incarcerazioni! Noi diciamo basta! Non è questo il futuro che vogliamo!”.
Il documento termina con una triplice rivendicazione: "Vogliamo tre cose. Vogliamo essere liberi. Vogliamo essere messi in condizione di vivere una vita normale. Vogliamo la pace. Chiediamo troppo?”.
(The Observer)