30 aprile 2012. Il dottor Stroiu
In base a un’inchiesta del "Collectif interassociatif sur la santé”, in Francia la cosiddetta "densità” dei medici (cioè il numero dei sanitari ogni 10.000 abitanti) è superiore del 30% alla media nazionale in sei dipartimenti (Alpes-Maritimes, Gironde, Haute-Garonne, Hérault, Paris, Rhône) e inferiore del 30% in altri otto (Ain, Eure, Haute-Loire, Indre, Lozère, Mayenne, Meuse, Orne). Così esordisce un articolo apparso in questi giorni su "Le Monde”. [In Francia i pazienti sono liberi di scegliersi il medico di base e le prestazioni vengono pagate direttamente dai cittadini che poi chiedono il rimborso alla propria assicurazione e/o mutua, ndt]. Pare che la nuova generazione dei medici non abbia la vocazione a lavorare contando solo sulle proprie forze, un po’ senza orari, con sulle spalle anche le responsabilità di eventuali errori e tutti i carichi amministrativi. La situazione è talmente grave che in certi paesi quando un medico va in pensione, trovare un sostituto è un vero rompicapo. "Le Monde” ha raccolto la storia del dottor Stroiu, che da un anno e mezzo ha aperto il suo ambulatorio nell’Alta Loira, in un paese di poco più di mille anime. Razvan Stroiu è rumeno. Da quando è entrata nell’Ue, la Romania è diventata un vero distributore di medici per le campagne francesi. Dei 5000 medici espatriati, un quarto è finito in Francia. Prima di essere chiamato dal sindaco di Rosières, Razvan già esercitava in campagna nel suo paese e ha capito subito il punto: "Penso che avessero già provato a far venire dei medici francesi. Ma loro non vogliono lavorare nei paesini e inoltre non vogliono fare i liberi professionisti, preferiscono essere salariati”. E quindi...
A Rosières, il dottor Stroiu ha messo su un ambulatorio pluridisciplinare coinvolgendo un dentista, qualche infermiera, uno psicologo e un altro generalista. Per lui il lavoro è comunque meno stressante che in Romania, dove doveva fare 200 km al giorno e assicurare dieci-quindici guardie al mese, contro le cinque in Francia. Infatti ammette che avrebbe accettato anche se lo stipendio fosse stato lo stesso, perché comunque la qualità della sua vita è cambiata. E poi l’accoglienza della municipalità è stata generosa. Oggi riceve circa quindici pazienti al giorno. Sorridendo ammette di saper bene che all’inizio più di qualcuno ha fatto una "visita test” per vedere com’era "questo medico straniero”. (lemonde.fr)
3 maggio 2012. Femminicidio
Secondo i nostri media nei primi quattro mesi dell’anno ci sono stati 50 omicidi di donne. Se questa tendenza dovesse proseguire, a dicembre avremo 150 omicidi femminili: sono gli stessi che abbiamo contato negli anni precedenti, con punte di 200 nel 2006 e 2003 e senza che questo causasse qualche interesse, anche perché le prostitute forniscono una parte non piccola delle vittime. Propongo di verificare i dati chiedendo all’Eures, oltre che al prof. Marzio Barbagli e di iniziare una riflessione tenendo ben presente che gli omicidi nel nostro paese si sono ridotti dai 2000 del 1991 ai miserabili 530 del 2010. (Claudio Giusti, giusticlaudio@alice.it)

6 maggio 2012. Tagli
Nel carcere Arginone a Ferrara, la mancanza di carta ha impedito di inviare i fax necessari per scarcerare alcuni detenuti e di comunicare atti giudiziari alla procura. L’ultima partita -due bancali di risme- l’aveva acquistata l’Anm, l’associazione nazionale magistrati, di Bologna e Ferrara. Intanto alcuni processi sono saltati perché mancavano i cellulari per trasferire i detenuti in tribunale. Alla caserma della Polizia Bevilacqua, i tubi rotti restano non riparati perché mancano i soldi, così come alcuni mezzi; altri sono fermi perché mancano i fondi per il carburante. Nel corso del 2012 ci sarà un taglio di 10 milioni di euro, che quintuplicherà nel 2013 arrivando ai 50 milioni. Nei mesi scorsi i sindacati di polizia, della penitenziaria, del corpo forestale, dei vigili del fuoco, provocatoriamente (ma forse neanche tanto) avevano lanciato la campagna: "Una donazione per la sicurezza”, con tanto di codice Iban della banca d’appoggio con la causale "fondi benzina, per la sicurezza, la difesa e il soccorso pubblico”. L’appello è ancora valido. (La nuova Ferrara)

9 maggio 2012. Il paziente di Berlino
Sull’ultimo numero de "Le scienze”, Carl June e Bruce Levine raccontano di come si siano aperte nuove e incoraggianti prospettive per la ricerca sull’Aids. Nel 2007 Timothy Ray Brown, all’epoca positivo all’Hiv da 10 anni, avendo contratto una leucemia mieloide acuta resistente alla chemioterapia, doveva essere sottoposto a un trapianto di midollo. I suoi medici, oltre a ricercare nella banca dati europea dei donatori i cui marcatori Hla (human leukocyte antigen) corrispondessero a quelli del paziente (per evitare il rigetto), alzarono la posta in gioco e cercarono qualcuno, le cui cellule fossero anche portatrici naturali di due copie della mutazione Ccr5-Delta32, cioè un sistema immunitario resistente al virus. È inutile dire che qui intervenne anche un colpo di fortuna, perché la combinazione era a dir poco rara (tant’è che da allora nessuno è riuscito a ripetere l’esperimento perché non si è più trovato un donatore con il giusto assetto di marcatori e mutazioni). Fatto sta che il dottor Hutter riuscì nell’impresa e da allora nell’organismo del signor Ray Brown, "il paziente di Berlino” (che in realtà è di San Francisco), nonostante l’assenza di terapie antiretrovirali, non c’è più traccia del virus dell’Hiv.
Una parentesi merita il funzionamento della mutazione Ccr5-Delta32. In sostanza la Ccr5 è una proteina che si trova sulla superficie cellulare ed è proprio ad essa che aderisce l’Hiv, non a caso viene definita una "porta d’ingresso” al virus. Ora, l’1% della popolazione caucasica ha ereditato una proteina Ccr5 "difettosa”, cioè più corta del normale, che non arriva alla superficie cellulare, lasciando così la porta chiusa.
Proprio questa scoperta ha aperto nuovi scenari per la cura contro l’Hiv. Ovviamente il trapianto di midollo non è una passeggiata. Tant’è che gli stessi ricercatori spiegano che un malato di Aids potrebbe esitare nella scelta tra una vita condizionata dall’assunzione di farmaci anti-Hiv e una sottoposta alle terapie antirigetto (il paziente di Berlino non aveva scelta). Proprio per questo Carl June e Bruce Levine da tempo stanno cercando il modo di disattivare il gene che codifica per Ccr5 senza dover sottoporre il paziente al trapianto di midollo e quindi a terapie farmacologiche che durano tutta la vita. Attualmente la loro attenzione è concentrata sulle proteine cosiddette "dita di zinco” in grado di attaccarsi a qualsiasi sequenza di dna (in questo caso una sezione del gene Ccr5) per modificarla o, in questo caso, inattivarla. I trial clinici per ora sono incoraggianti. I due scienziati sono ottimisti: "Anche se le nostre nucleasi modellate sul paziente non sono una cura, negli ultimi trent’anni non siamo mai stati così vicini a chiudere la porta all’Hiv”.
(Le Scienze)

10 maggio 2012. Falliti
In Florida il 45% dei mutuatari sono "falliti” e molti sono stati costretti a vendere la loro "casa dei sogni” alle banche al 40% del prezzo d’acquisto. Molti ex-proprietari sono ora alla ricerca di qualcuno che gli affitti un appartamento. Una situazione "devastante” per molte famiglie che, oltre alle difficoltà personali, si trovano nell’impossibilità di aiutare i figli o i genitori anziani.
Tre giorni alla settimana, al crocevia di un’autostrada trafficata, non lontano dalla sua ex-casa, Marcus Freeman tiene un piccolo stand dove vende vasetti di peperoncino fatti da lui. Sull’etichetta c’è una casa con un camino, quella che vorrebbero riacquistare con la vendita di questa salsa. "La famiglia Freeman o la drammatica banalità della Florida immobiliare”, commenta Philippe Bernard, de "Le Monde”.
Kate e Marcus conducevano una vita dignitosa, lui contabile, lei insegnante. Quando hanno fatto un mutuo trentennale di 200.000 dollari non pensavano di essere stati avventati. Poi però è arrivata la perdita del lavoro, in seguito a un incidente d’auto e, come non bastasse, si è aggiunta la crisi. I soldi spesi in un avvocato e la rapacità della banca hanno fatto il resto.
In Internet la mappa interattiva di questi "affari” falliti, ha dei punti lampeggianti in tutta Florida. Proprio in questo stato si concentra un quarto degli oltre tre milioni di pignoramenti effettuati negli Stati Uniti. (lemonde.fr)

11 maggio 2012. Aids
Secondo l’ultimo rapporto UnAids a dicembre 2011 nel mondo c’erano 34 milioni di persone malate di Aids; ogni anno se ne infettano 2,7 milioni e 1,8 milioni muoiono di patologie correlate. (Le scienze)

11 maggio 2012. In coda per andarsene
Centinaia di dipendenti della Société générale hanno deciso di lasciare il proprio posto di lavoro. Alla luce dell’atmosfera che andava peggiorando, ma anche di una generosa indennità, in molti si sono affidati al piano sociale approntato dalla direzione. Così, il piano di salvataggio lanciato dalla società il 2 aprile ha visto presentarsi il doppio dei "volontari” attesi. Maryse Gauzet, delegata nazionale, racconta che a fronte di 880 posti da sopprimere si sono presentati in duemila! In effetti le condizioni sono allettanti. La banca, forse preoccupata di non trovare abbastanza personale disponibile a lasciare, ha promesso ai primi candidati indennizzi a partire da 50.000 euro. C’è gente che ha preso giorni di ferie per essere i primi a comporre il numero verde e chiedere un appuntamento. Le linee telefoniche si sono subito intasate. Va anche detto che negli ultimi anni i dipendenti della Société générale hanno visto peggiorare le loro condizioni, i bonus sono stati tagliati e così la parte variabile dei loro stipendi, mentre la parte fissa è stata congelata.
In realtà a causare questo fuggi fuggi non sono però i soli incentivi economici. Pare che alla SG il clima sia da tempo insostenibile. Addirittura nel 2010 si è inserito un "criterio comportamentale” nella griglia di valutazione del dipendente; secondo alcuni una porta aperta ai licenziamenti abusivi. E poi, lamentano alcuni dipendenti, gli obiettivi assegnati sono diventati irrealizzabili e nessuno osa chiedere niente per le ore supplementari. Qualcuno ha parlato di una condizione "degradante”. La Société générale, comunque, non è la sola banca costretta a tagliare. Anche la Bnp il 6 marzo ha lanciano un piano di "partenze volontarie”, il secondo dal 2009 e al Crédit agricole 550 impiegati sono allertati.
(liberation.fr)

12 maggio 2012. La Goldman Sachs e i camionisti
Sul sito della rivista "Dissent”, Todd Gitlin ha dedicato un breve articolo a Greg Smith, il dipendente di Goldman Sachs che ha accusato la banca di investimento di aver dimenticato la sua ragione d’essere, ossia servire il cliente. Addirittura, a un certo punto, tra le linee guida, ha preso il sopravvento la questione della reputazione e dell’opportunità. Il punto non era più quello che possiamo fare, ma quello che è il caso di fare.
Gitlin però mette in luce un altro aspetto della vicenda. La Goldman Sachs è una banca d’investimento, ma è anche la proprietaria si alcune aziende, tra cui la Ssa Marine, una delle maggiori compagnie di trasporto, per cui è anche la datrice di lavoro dei camionisti di questa società. Ora, per risparmiare sui costi, questi camionisti non risultano dei suoi dipendenti, bensì degli "independent contractors”. Che vuol dire niente sindacato, niente contributi e nessuna garanzia. Gitlin racconta di aver parlato con uno di questi camionisti, Leonardo Mejia. Fino a quando i camionisti erano anche i proprietari dei loro camion le cose non andavano male. La situazione è precipitata nel 2008 quando il porto fece un piano anti-inquinamento costringendoli a sostituire i loro mezzi. Lo stato diede un contributo ai porti per i nuovi camion pensando che gli autisti sarebbero stati presi come dipendenti. Ma la Ssa Marine non lo fece e così oggi i camionisti sono costretti a prendere questi camion in leasing, ma una volta pagato il carburante, l’assicurazione e la rata, non ce la si fa. Mejia lo scorso anno, lavorando tra le nove e le undici ore al giorno, sei giorni alla settimana (se non di più) ha portato a casa 18.000 dollari.
Il fatto è che la Goldman Sachs è fatta in primo luogo dai fondi pensione dei lavoratori americani e australiani. Un bel paradosso: una banca d’investimento che impoverisce dei lavoratori non sindacalizzati (i camionisti della Ssa Marine), affinché altri lavoratori (più fortunati) possano godersi la pensione.
(dissentmagazine.org)

15 maggio 2012. Non lo so
"Non è molto che lavoro in terapia intensiva ed ancora non riesco, e non so se ci riuscirò mai, a mantenere una certa distanza da te, che dall’altra parte del letto dove abbiamo messo tua moglie mi subissi di domande a cui non so dare risposte. Non riesco a darti risposte, non perché sono un infermiere e non posso comunicarti diagnosi, non perché non conosca i meccanismi che hanno portato tua moglie da una banale febbre alla morte cerebrale, passando attraverso una meningite fulminante; non riesco a darti risposte perché tu e tua moglie avete la mia età ed è difficile capire e farti capire come si possa morire per una febbre a trent’anni. Già da ieri mi ero fatto un’idea di quale sarebbe stato il destino di tua moglie, ma non potevo dirtelo e quindi dovevo nascondere pensieri ed emozioni che avrebbero confermato quella sensazione che mi dici sentivi nella pancia. Come ho visto fare da colleghi e medici, inizio ad usare termini medici come edema cerebrale, potenziali evocati, elettroencefalografia, che mi servono per continuare a parlare, perché ho una paura fottuta che tu inizi a dire quello che provi e che metta a nudo il mio senso di inadeguatezza, che tu faccia entrare in me il tuo dolore. [...] Non posso neanche immaginare quanto tu stia male.
Mi chiedi perché il linguaggio comune e quello medico siano così diversi: se uno ti dice che stanno provando a svegliare qualcuno, ti immagini che ci sia un miglioramento e che forse l’altro si sveglierà, non pensi che sia un test per valutare la gravità di un danno al cervello; se ti dicono che la situazione è stabile, pensi che la situazione non si sia aggravata, non che non ci sia più nulla da fare. Mi chiedi cosa ne sarà della tua vita di domani, come farai col vostro figlio di 4 anni, a cosa starà pensando tua moglie in questo momento, se può sentire la tua voce, se può percepire il tuo bacio sulla fronte. Non lo so. Mi dispiace”.
Bruno (nottidiguardia.it)

18 maggio 2012. Convivenza coatta
In Francia, a causa della crisi e dei prezzi del mercato immobiliare, è in sensibile aumento il numero delle coppie che, pur separate, continuano a condividere lo stesso appartamento.
A parlarne è Catherine Rollot su "Le Monde” che individua tra le cause anche una certa "banalizzazione” del divorzio (e quindi del matrimonio). A far decidere per una convivenza coatta non è propriamente lo spettro della povertà (come invece negli Stati Uniti), ma più precisamente un "declassamento”, un peggioramento del tenore di vita. Si tratta di un fenomeno ancora marginale e che riguarda la classe media, ma che pare destinato ad aumentare per via della crisi. Per il sociologo Claude Martin, direttore del Cnrs, che ha studiato la questione, alla fine, sia in America che in Francia, il problema è "il costo della rottura”. Benoît Delesalle, notaio à Parigi, conferma che la ragione di queste convivenze forzate è eminentemente "patrimoniale”. All’indomani dell’aumento delle tasse legate a queste pratiche, addirittura molte coppie hanno annullato la separazione. C’è poi il problema dell’alloggio, che può essere aggravato dalla presenza di figli e quindi dalla necessità di un’abitazione di una certa dimensione. Il tutto è ulteriormente complicato dall’attuale mercato immobiliare che ha allungato i tempi delle vendite. Tempi che si dilatano se gli ex coniugi hanno idee diverse sul valore dell’immobile e sulle strategie di vendita. Comunque, se le questioni finanziarie complicano le procedure di separazione, questo non ha affatto influito sul numero dei divorzi, che è in piena ascesa dagli anni Sessanta e nel 2011 ha raggiunto il numero di 130.900 casi. Per Claude Martin andrebbe considerato anche un altro fattore "ritardante” e cioè una qualche forma di legame parentale che vorrebbe proteggere i figli, e forse anche la speranza di un ritorno alla vita coniugale. Resta il fatto, conclude la Rollot, che questa particolare coabitazione necessita che tra i coniugi ci sia ancora un certo rispetto, o almeno una certa indifferenza.
(lemonde.fr)

19 maggio 2012. Una buona notizia
"Un’incredibile success story che stenta a essere riconosciuta”, l’ha definita Gabriel Demombynes, dell’ufficio di Nairobi della Banca Mondiale. La notizia in effetti è importante: in 16 dei 20 paesi dell’Africa che hanno raccolto i dati sulle condizioni di vita della popolazione si sta assistendo a un calo significativo della mortalità infantile. Addirittura in Senegal, Rwanda e Kenia i tassi della decrescita superano l’8% all’anno, e vantano oggi lo stesso livello dell’India, una delle economie in espansione. Negli ultimi 30 anni non si era mai vista una cosa del genere. Ed è interessante che il fenomeno interessi paesi piccoli e grandi, cristiani e musulmani, in ogni angolo del continente.
La ricetta sembra essere una qualche combinazione di crescita economica e politiche di salute pubblica.
Tuttavia la crescita economica non è garante di migliori condizioni di vita. La Liberia, dove i tassi di mortalità restano alti, sta assistendo a una galoppante crescita del Pil; sul versante opposto, il Senegal, con il più basso tasso di mortalità infantile, ha un’economia quasi inerte.
Per capirci di più, Gabriel Demombynes ha studiato il caso del Kenia, che ha visto calare il tasso di morte infantile, vanta un’economia in crescita e un sistema democratico funzionante. Si è così accorto che, facendo comparazioni con altri paesi, in realtà questi elementi non bastavano. C’era dell’altro: l’uso delle zanzariere! In Kenia, il numero di abitanti che fanno uso di zanzariere trattate è passato dall’8% del 2003 al 60% del 2008. Di qui l’ipotesi che il crollo dei tassi mortalità infantile sia in parte dovuto anche a questo elemento. La morale della favola, conclude l’articolo pubblicato su "The Economist” è che non c’è una singola causa, bensì una congiuntura favorevole di crescita economica, buone politiche, un governo efficiente e nuove tecnologie. Ma soprattutto che l’Africa non è affatto destinata a una condizione di povertà e morte perenni. (economist.com)

23 maggio 2012. La nazione più felice
L’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ha pubblicato il "Better Life Index”, in base al quale l’Australia risulterebbe la nazione industrializzata più felice, in base a fattori come lavoro, reddito e salute.
Ovviamente ci sono anche i punti critici: la moneta locale, così forte, ha reso l’export non competitivo e l’aumento del costo della vita rischia di impattare negativamente sui consumi. Nel frattempo però la promessa di una qualità di vita migliore attrae molti immigrati.
A differenza degli altri paesi sviluppati, il governo australiano prevede di avere un surplus nel budget nel prossimo anno fiscale. Intanto il debito è al 10% del Pil, un tasso che molti si sognano. Gli australiani danno un punteggio di 7,4 su 10 alla loro soddisfazione, il 71% si fida delle istituzioni politiche, contro il 56% della media dei paesi dell’Ocse. L’85% della popolazione descrive il proprio stato di salute come buono e gli uomini australiani trascorrono circa tre ore tra la cucina, le pulizie e l’assistenza.
Diala Ibrahim, 31 anni, libanese, emigrata in Australia da bambina, oggi è in dubbio se trasferirsi a Londra, dove vive il fidanzato. Lei preferirebbe rimanere a Sidney: "Qui è pulito, non c’è inquinamento, non c’è guerra, c’è uno stato di diritto, c’è ordine. Non è che tutto questo si trovi in tanti posti”, commenta.
(wsj.com)

25 maggio 2012. Nascere poveri
In un articolo su "The independent”, Andrew Grice parla dello stridente gap che continua ad esistere e anzi forse si è allargato tra chi nasce povero e chi nasce ricco in Gran Bretagna.
Lo spunto è l’uscita di una ricerca voluta dal governo, i cui risultati sono allarmanti: solo il 7% dei bambini frequenta scuole private, ma queste scuole forniscono il 70% dei giudici dell’Alta Corte e il 54% degli amministratori delegati delle maggiori aziende quotate in Borsa. Il 20% dei bambini poveri prende il diploma di scuola superiore contro il 60% dei bambini benestanti. Eccetera. Il relatore dell’indagine, Nick Clegg, Lib Dem, denuncia l’insostenibilità di una tale situazione dal punto di vista "morale, economico e sociale”. Bisogna creare una società più dinamica: "una volta ciò che contava era la persona che diventavi, non la persona che nascevi”, ha commentato. Andrebbe premiato l’impegno e la competenza, non la scuola che hai frequentato o il lavoro dei tuoi genitori, ha aggiunto Clegg, che ha studiato alla Westminster School (privata) e a Cambridge. "Io sono stato fortunato, ma appunto non dovrebbe essere questione di fortuna”. Ed Miliband, dei Labour, ricorda però che non c’è modo di aumentare la mobilità sociale se non si interviene sull’ineguaglianza (che invece Clegg non cita come problema). Se si nasce poveri in una nazione più equa, come Finlandia, Norvegia o Danimarca, si hanno maggiori chance di avere comunque un buon lavoro e un buon reddito. "Se vuoi il sogno americano -ha aggiunto Miliband- oggi devi andare in Finlandia”.
(independent.co.uk)

26 maggio 2012. Boicottaggio
Il 24 maggio Gideon Levy è intervenuto su "Haaretz” sul tema del boicottaggio con parole molto dure. "Non compro la merce che proviene dalle colonie e mai lo farò. A mio modo di pensare, si tratta di beni rubati e, come tutti gli altri beni che sono stati rubati, cerco di non comprarli”. Ora forse non li compreranno neanche i sudafricani e i danesi. I loro governi hanno infatti chiesto che i prodotti provenienti dagli insediamenti siano contrassegnati da un’etichetta. Così, chi vuole sostenere "l’impresa coloniale” potrà comprarli e chi è contrario, potrà boicottarli, commenta Levy.
Il ministro degli esteri ha attaccato la decisione sudafricana come "razzista”. In realtà, replica Levy senza mezzi termini, è Israele -nel momento in cui attacca il Sudafrica (e non ad esempio la Danimarca o altri paesi)- a dare al mondo una lezione di razzismo.
Per Levy, il boicottaggio non è una questione politica o morale, ma di semplice rispetto della legge internazionale. "Un prodotto realizzato negli insediamenti è un prodotto illegale”, così come gli stessi insediamenti, e quindi non è diverso dagli oggetti realizzati in laboratori clandestini nel sud-est asiatico, o dai "diamanti insanguinati” che arrivano dall’Africa.
L’etichettatura avrebbe dovuto essere imposta da tempo, anche per evitare di danneggiare inavvertitamente i produttori palestinesi. Nell’articolo viene riportata la lista di alcuni marchi: Bagel & Bagel, Lipsky, Ahava (cosmetici), Tekoa (funghi), così come i vini che arrivano dall’insediamento di Psagot o dalle alture del Golan. "Coloro che vogliono sostenere gli insediamenti” devono acquistare questi prodotti. Gli altri sono invitati a boicottarli. "Per quanto mi riguarda, io continuerò a leggere attentamente i minuscoli caratteri delle etichette, ma anche i cittadini del mondo devono avere questo diritto. Questo diritto? Questo dovere” conclude Gideon Levy. (haaretz.com)