Da alcune stagioni l’attenzione sul Medio Oriente è stata assorbita dalla preoccupazione di un probabile prossimo armamento atomico dell’Iran e di un conseguente attacco preventivo israeliano agli impianti nucleari di quel paese. Non è la sola questione che attanaglia il governo e l’opinione pubblica israeliana. I pesi che gravano su Israele dalla fondazione dello Stato sono principalmente la questione religiosa, il contrasto fra askenaziti e coloro che non lo sono, specialmente i sefarditi, e il rapporto con i palestinesi. Il contrasto fra askenaziti e sefarditi è politicamente attutito, sebbene non ancora socialmente. Per esempio negli alti gradi delle forze armate, in cui il servizio onorevole è fattore di progresso sociale, prevalgono ancora di molto gli askenaziti che vantano l’assoluta preminenza nella costruzione e fondazione dello Stato. Salvo due casi (Moshe Levi e Shaul Mofaz, non propriamente sefarditi perché di origine irachena e iraniana) tutti gli altri 18 capi di Stato maggiore sono askenaziti. La questione palestinese è anchilosata da decenni nello status quo sanguinoso, accettato di fatto nel mondo; esplode periodicamente come l’eruzione di un vulcano. La questione religiosa invece, permanente fin dall’alba del sionismo nell’Ottocento, s’è fatta incandescente. Nemmeno l’acceso, plateale contrasto in ambito ministeriale e nelle forze di sicurezza sull’opportunità d’attaccare l’Iran senza il coinvolgimento degli Stati Uniti aveva causato un’insolubile crisi di governo e la necessità di convocare elezioni anticipate (di norma la legislatura sarebbe scaduta nell’ottobre 2013).
Nel dicembre del 1881 a Pietroburgo 14 studenti di cultura illuminista fondano il Hovevei Zion (‘Amanti di Sion’). Per primi si propongono di organizzare delle emigrazioni collettive in Palestina. Nel gennaio 1882, una dozzina di studenti anche secolari dell’Università Kharkov in Ucraina danno vita al Bilu (acronimo di ‘Casa di Giacobbe, sorgiamo e marciamo’); entrambi, Amanti di Sion e Bilu, sono animati dall’ideale del ritorno, della rinascita nazionale e del lavoro agricolo al fine della ‘rigenerazione dell’uomo ebreo’. A partire dal luglio 1882 fino al dicembre 1884 (sono gli anni dei pogrom nell’Impero zarista, particolarmente efferati a Varsavia, Odessa e Kiev) sbarcano a Jaffa in gruppi di una dozzina di persone non più di un centinaio di ‘pionieri’. Intenzionati a rinnovare i costumi tradizionali dell’ebraismo giudaico, si dedicano in condizioni di estremo disagio al lavoro dei campi. Sono osteggiati dal locale insediamento ebraico, circa 24.000 persone, su una popolazione di 482.000 anime, che abitano perlopiù a Gerusalemme, Safed e Tiberiade. Sono contrari al lavoro produttivo e ritengono un’eresia l’aspirazione nazionale, distinta dalla tradizione giudaica. A quei pionieri si devono i primi due insediamenti della diaspora immigrata di Rishon LeZion (Primi a Sion) il 31 luglio 1882 e nel dicembre 1884 di Hedera, entrambi poco a sud di Jaffa.
La prima grande ondata migratoria di ‘Amanti di Sion’ (Alya, ‘salita’: immigrazione ebraica in Palestina) seguita ai pionieri laicisti è in maggioranza tradizionalmente osservante. Sono convinti che la tradizione giudaica debba costituire l’identità ebraica in Eretz Israel. Alla fine del secolo si contano in Palestina 55.000 ebrei su di una popolazione di 611.000 residenti (cfr. Georges Bensoussan, Une Histoire intellectuelle et politique du Sionism 1860-1940, Fayard, 2002).
La crescita s’era accompagnata a un acceso conflitto sul ruolo della religione fra osservanti e innovatori. Come in Palestina anche nella diaspora il sionismo è stato alla sua origine avversato dall’establishment ebraico. Nel 1902 degli ortodossi tradizionalisti fondano a Vilnius il Mizrahi (acronimo per ‘Centro Religioso’) movimento sionista religioso, presto diffuso in Palestina, con lo scopo di convincere gli ortodossi ad abbracciare il sionismo e di imprimere al movimento nazionale un carattere rigorosamente giudaico.
Il 1904 è l’anno della svolta accentuatamente laica, allorquando, spinti da una seconda ondata di pogrom durante la quale vengono uccisi migliaia di ebrei, ha inizio una seconda Alya che si protrae fino allo scoppio della Guerra Mondiale. Nel 1913-14 gli ebrei erano 85.000 su 760.000. Diversamente dalla prima, la gente della seconda Alya era cresciuta nel clima rivoluzionario che scuoteva in quegli anni l’Impero zarista. I nuovi immigrati erano animati dall’ideale laicista della rigenerazione del popolo ebraico con il lavoro. I giovani soprattutto erano socialisti: quaranta anni dopo fonderanno lo Stato. Essi rimarranno ostili all’ortodossia talmudica che ritenevano un ostacolo al progresso e alla libertà. Intendevano separare la politica dalla religione, rivoluzionare la tradizione giudaica della diaspora e sostituirla con una comunità laica senza compromessi con il Rabbinato. Scandalo per gli osservanti i quali professavano che Eretz Israel dovesse essere confessionale secondo la tradizione ebraica d’inscindibile unità di popolo con la Torah e il Talmud. Nel 1912 nella Polonia tedesca gli ultraortodossi giudaici fondano l’Agudat Yisrael (‘Unione d’Israele’), il movimento espressione del Rabbinato, presto influente anche in Palestina e contrario al rinnovamento ebraico nella Terra Promessa prima dell’avvento del Messia.
Durante il Mandato britannico in Palestina, l’Agudat Yisrael, antesignano degli attuali partiti religiosi in Israele e tuttora presente, aveva rappresentato gli haredim (‘timorati’, ligi osservanti dell’ortodossia talmudica) che s’erano isolati nella Yishuv (‘Installazione’), la comunità ebraica in quel paese, ligia alla dirigenza laica-laburista.
Ben Gurion, in Palestina diciannovenne nel 1905, già capo indiscusso fin dal 1920 della Histadrut (sindacato socialista al quale, molto minoritario, aderiva anche l’Agudat Israel Workers) -e come tale capo virtuale dello Yishuv- alla vigilia della fondazione dello Stato ritenne necessario un patto con l’Agudat per compattare il paese nell’imminenza dell’invasione araba. Infatti reputò di non poter eludere le istanze dell’ortodossia giudaica, via via più influente in quegli anni per l’immigrazione dai paesi arabi in toto osservante. Il compromesso impegnò il Rabbinato a riconoscere il potere legislativo a un parlamento eletto democraticamente, anziché a un’assemblea di rabbini; d’altra parte il potere civile garantì al Rabbinato la normativa dello stato civile, il finanziamento delle scuole rabbiniche (yeshivot) dedite allo studio della Torah e del Talmud nonché il cibo casher (‘nutrimento’) nelle istituzioni pubbliche. Ben Gurion accettò anche di dispensare dal servizio militare gli allora quattrocento haredim studenti delle yeshivot. Malgrado la successiva legge del 1949 sul reclutamento obbligatorio al compimento del 18° anno d’età, la dispensa concessa da Ben Gurion divenne una consuetudine tacitamente prorogata ed estesa ai successivi studenti delle yeshivot che si sono moltiplicati per decine di migliaia. Una consuetudine garantita dalla componente religiosa della Knesset, dall’origine dello Stato sempre presente nei governi a tutela dei privilegi acquisiti dall’ortodossia rabbinica.
Significativa l’analogia degli esiti della rinascita nazionale ebraica con il Risorgimento italiano, liberale e in conflitto con l’ortodossia cattolica, radicata nell’animo degli italiani. In Risorgimento senza eroi, Piero Gobetti nel 1926 scriveva: «La riscossa del ’48 ha soltanto più le apparenze della rivoluzione: il liberalismo confuso col neoguelfismo ha perduto la coscienza del suo significato ideale. Lo stesso equivoco continua col cattolicismo liberale. L’ossequio alla Chiesa stronca la volontà etica da cui dovrebbe nascere il nuovo Stato […] vede nello Stato e nella Chiesa un dualismo di corpo e spirito [… e] spoglia di ogni significato ideale la funzione dello Stato e lo riduce e mera amministrazione lasciando la cura delle anime alla Chiesa [...] Le esperienze del ’48 e ’49 aiutarono la formazione delle nuova classe dirigente, ma questa dovendo accettare l’equivoco [ossequio alla tradizione cattolica] che le stava intorno, ebbe soltanto una funzione di pratica abilità, non fu rivoluzionaria, non creò lo Stato. […] La dialettica del Risorgimento dimenticava le sue origini liberali e si faceva democratico per continuare [senza volerlo] la teocrazia [… e] il Governo indulgeva al cattolicismo solo per indulgere al popolo» (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011, ristampa anastatica dell’originale Edizioni del Baretti, Torino, 1926, pp. 134-137).
Ben Gurion per la quasi trentennale esperienza nella Yishuv dominato dall’Avodah (‘Lavoro’), il Partito Laburista di cui era capo, con la significativa opposizione del Partito Revisionista Sionista di Ze’ev Jabotinsky (liberista in economia, laicista e ultranazionalista), non poté prevedere che gli studenti delle yeshivot si sarebbero moltiplicati fino a 131.433 (Statistical Abstract of Israel, 2012).
Divenuti arroganti, sempre prevaricanti e spesso violenti grazie al numero e alla tolleranza governativa di decenni, gli haredim sono diventati una questione sociale che investe l’intera nazione. Quanto accaduto il 29 dicembre 2011 a Beit Shemes, dove gli haredim sono oltre il 40% della popolazione (9% in Israele), è l’esempio estremo di innumerevoli episodi: la rivolta di centinaia di haredim contro la polizia intervenuta per disperdere la folla di dimostranti eccitati -e urlanti slogan conto il laicismo e anche anti-sionisti- dalla intervista alla televisione di una ragazzina di otto anni. Aveva raccontato d’essere stata apostrofata con violenza da un gruppo di haredim mentre si recava a scuola vestita in modo per loro non rispettoso della legge talmudica (l’8 gennaio 2012 hanno risposto 250 giovani donne riunitesi in un corpo ginnico con una ritmica spettacolare esibizione in piazza). La tracotanza degli haredim arriva al punto di pretendere che i marciapiedi nelle strade vengano separati per genere. Unitamente al nazionalismo religioso capeggiato dal Gush Emunim (‘Blocco della Fede’, movimento nazionalista intransigente dei cosiddetti ‘coloni’ insediati nella Cisgiordania occupata militarmente) sta minando, per il numero e la rilevanza politica, lo Stato liberale istituito dai padri fondatori.
Il 2 agosto 1999, su ingiunzione dell’Alta Corte di Giustizia (in assenza di una Costituzione l’ordinamento giudiziario si basa sui suoi decreti) il governo nominò una commissione, con l’incarico di indicare una legge in materia di reclutamento degli haredim. Il 23 luglio 2002 la Knesset accolse la raccomandazione della Commissione e approvò la legge cosiddetta ‘Tal’, dal presidente della Commissione Tzvi Tal, prorogabile ogni cinque anni e così è avvenuto nel 2007. La legge consentì agli studenti delle yeshivot di rinviare il reclutamento dal 18° al 22° anno d’età, quindi scegliere un servizio di leva ridotto a 6 mesi con il successivo annuale obbligo militare di addestramento, oppure un anno di servizio civile gratuito per poi entrare nel mondo del lavoro. Tuttavia la legge riconobbe agli haredim al compimento del 22° anno di età di dichiarare la volontà di continuare negli studi superiori talmudici come esclusiva missione di vita. Una scelta che il Rabbinato ritenne -e ritiene- equiparabile al servizio permanente nell’esercito in un’unità di ‘preghiera’, necessaria alla difesa dello Stato e del popolo d’Israele. La legge ‘Tal’ era stata concepita per indurre gli haredim ad arruolarsi volontariamente, ma già nel 2005 le autorità militari ne ammisero il fallimento: solo alcune dozzine di studenti delle yeshivot avevano risposto alla chiamata.
Il 26 gennaio 2012 "The Jerusalem Post”, citando la "Army Radio”, informa che alcune centinaia di riservisti in uniforme avevano allestito un campo militare fittizio (mock) antistante la stazione ferroviaria Arlozorov a Tel Aviv chiamato ‘dei parassiti’ all’insegna dello slogan ‘Un popolo, una leva’. Chiedevano ai numerosissimi visitatori, fra cui politici, studenti e docenti universitari, di sottoscrivere una petizione all’Alta Corte di Giustizia la quale il 21 febbraio successivo decreta l’illegittimità della legge ‘Tal’ perché violava il principio di uguaglianza, e obbliga il governo a proporre alla Knesset una nuova legge in materia.
Anni addietro, nel luglio 1984, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo della Knesset, la componente sefardita dell’Agudat Yisrael capeggiata da Rabbi Ovadia Yosef, allora capo dei rabbini sefarditi, fonda il partito Shas (acronimo di ‘Guardia Sefardita’) per sottrarsi all’egemonia degli askenaziti. Conquistò allora quattro seggi alla Knesset e oggi ne conta undici e il suo capo Eli Yishai è il ministro degli Interni (da cui dipendono i programmi edilizi).
Il verdetto d’incostituzionalità della legge ‘Tal’ mise in crisi la stabilità di governo ("Corriere della Sera”, 7 luglio) perché il partito Degel HaTorah (‘Bandiera della Torah’), componente insieme all’Agudat Yisrael dell’United Torah Judaism (cinque seggi) non intendeva accettare la deliberazione dell’Alta Corte di Giustizia.
Foriero ancor più di decomposizione della maggioranza è stato l’attacco all’Alta Corte di Giustizia di Rabbi Ovadia Yosef, tuttora leader spirituale dello Shas. I due partiti confessionali escludono di poter discutere un cambiamento dello status di decine di migliaia di studenti haredim. D’altra parte il laico Avigdor Lieberman capo del Yisrael Beiteinu (‘Casa Nostra’, 15 seggi) e ministro degli Esteri pretendeva il rispetto della sentenza della Corte.
L’instabilità governativa indusse Netanyahu ad anticipare le elezioni di fine legislatura (ottobre 2013). Invece inaspettatamente l’8 maggio scorso alla Knesset, convocata per legiferare elezioni anticipate il 4 settembre, Netanyahu e Shaul Mofaz, hanno annunciato, vero e proprio coup du théâtre, l’adesione di Kadima (28 seggi) alla maggioranza di governo e la nomina di Mofaz, capo di quel partito, a vice primo ministro. Celebrata come esempio di unità nazionale, di contro all’ironizzato frazionamento del mondo arabo, la nuova coalizione (94 parlamentari su 120 della Knesset: Likud, Yisrael Beiteinu, Shas, partiti religiosi minori, e Kadima) avrà vita effimera. Si conclude appena 70 giorni dopo, il 17 luglio, perché Netanyahu tergiversava nella presentazione di una nuova legge del reclutamento (la legge ‘Tal’ scadeva il 31 luglio). "The Jerusalem Post” del 3 marzo aveva previsto che il primo ministro avrebbe proposto una legge che consentisse agli haredim di scegliere fra il servizio civile e la leva Hesder durante la quale in alcune yeshivot per cinque anni lo studio della Torah, del Talmud e di testi rabbinici è alternato con il servizio militare. Nel 2012 vi si contavano 8.670 studenti (Statistical Abstract of Israel, 2012), un numero esiguo rispetto alla massa degli esentati. Il quotidiano gerosolimitano aveva denunciato anche che il reclutamento era ulteriormente diminuito fra gli haredim dal 2005 per il diffondersi nelle yeshivot di un sentimento antisionista e nel contempo fosse molto cresciuta l’indignazione fra la gioventù secolare, in parte anche fra quella osservante. "Yedioth ahronoth” tendenzialmente più vicino al Kadima (centro destra) che al Likud (destra), previde un compromesso fra i partiti laici e religiosi fondato sul riconoscimento dei primi che la Torah è il fondamento dello Stato e l’accettazione dei secondi dell’obbligo militare. Non se ne fece nulla, ma il più letto quotidiano del paese pronosticava per la società israeliana un’epoca analoga a quella dei Maccabei? Non era stato nelle previsioni dei giovani della seconda Alya al principio del Novecento e poi fondatori dello Stato.
Il 10 ottobre Netanyahu dopo brevi consultazioni con i leader della maggioranza, preso atto dello sfarinamento della coalizione di governo (nemmeno sarebbe stata approvata la legge di Bilancio annuale dello Stato) ha annunciato elezioni anticipate per il 22 gennaio 2013. Ovviamente anche la legge sul reclutamento militare è rimandata alla nuova legislatura.
Il successivo 28 del mese a sorpresa Netanyahu e Avigdor Lieberman decidono di presentare alle elezioni i partiti Likud e Yisrael Beiteinu in un’unica lista. Erano convinti d’ottenere uniti un numero di seggi vicino alla maggioranza assoluta di 61 seggi alla Knesset, nella quale oggi contano rispettivamente 27 e 15 seggi, per ridurre l’influenza dei partiti religiosi. Non potranno comunque non tener conto della forza di una pubblica opinione del 22,8%, pari a più di un milione di ligi osservanti su un totale di 4.388.000 cittadini ebrei (Statistical Abstract of Israel, 2012); senza contare i cosiddetti ‘coloni’ nel West Bank, circa 519.000 (Passia Diary, 2012) per lo più nazionalisti, per non dire la quasi totalità, e osservanti il dettato giudaico.
D’altronde, che dire della laicità di Benjamin Netanyahu, leder del partito erede dell’Herut con radici nel Sionismo Riformista dell’ultra laico Ze’ev Jabotinski, che si presenta alle cerimonie pubbliche con la kippah, inequivocabile confessione di fede talmudica?
È probabile che la nuova legge preveda l’obbligo degli haredim di servire per un certo periodo nel servizio civile, oppure, sia pure durante una ferma inferiore alla norma, in unità di religiosi.
Le Idf (Israel Defence Forces) da sempre strumento di melting pop in una società culturalmente frazionata, perderà la sua tradizionale amalgama della gioventù israeliana? Le formazioni di religiosi rispetteranno gli ordini dello Stato Maggiore non graditi al Rabbinato? Vedremo dei rabbini alla testa di reparti di haredim?
Già ora in Israele, coinvolto in un conflitto sociale che concerne la sua stessa identità, il processo teocratico dello Stato sembra irreversibile. Fino agli anni Sessanta la laicità era un fatto pubblico e la religione privato, in seguito progressivamente l’osservanza dei precetti religiosi ha occupato pervasivamente lo Stato, anche le Forze armate (basti pensare che un terzo dei riservisti, in gran parte osservanti, provengono dalla Cisgiordania occupata) e la laicità è diventata una convinzione privata.
Tuttavia, contrariamente al disegno di Netanyahu e Lieberman, i sondaggi per le prossime elezioni prevedono una flessione della lista unita Likud-Yisrael Beiteinu da 42 seggi a 34 ("Haaretz”, 25 dicembre) a favore del Bayit Yehudi (‘Casa Ebraica’) nuovo raggruppamento politico nazionalista-religioso. È capitanato da Naftali Bennet, con passaporto americano perché figlio di americani immigrati dopo la guerra del 1967, ricchissimo, geniale imprenditore di una società di software. Malgrado sia nell’esercito maggiore della riserva dopo aver militato in reparti d’élite ed essere stato più volte decorato, è contrario alla coscrizione obbligatoria degli haredim. Ha dichiarato alla televisione che non eseguirebbe ordini di smantellare insediamenti ebraici in Cisgiordania occupata anche se illegali. Avendolo aspramente criticato, Netanyahu è calato nei sondaggi, tanto più che molte volte ha dichiarato, sia pure non più che a parole per compiacere al Dipartimento di Stato Usa, d’essere a favore di uno Stato palestinese. Pietoso l’appello di Netanyahu al centro e alla sinistra perché confluiscano sotto le sue bandiere per arginare la marea montante del nazionalismo religioso ("Haaretz”, 6 gennaio); dall’assassinio di Rabin lo ha promosso, coltivato e cavalcato. Il rassemblement Likud-Beiteinu, per quanto indebolito dalla destra estrema religiosamente osservante, risulterà primo alle prossime elezioni e Netanyahu sarà incaricato di formare il governo. È probabile che il nuovo ministero avrà una marcata connotazione nazionalista e religiosa, la nuova legge sul reclutamento non sarà significativamente diversa dalla legge ‘Tal’ e l’orientamento teocratico dello Stato sarà accelerato.
8 gennaio 2013
PS. Giova rammentare che in Israele -regime parlamentare unicamerale- le elezioni legislative hanno scadenza quadriennale (salvo la crisi della coalizione di maggioranza come il caso attuale) per l’elezione di 120 seggi della Knesset. Distribuiti proporzionalmente con sbarramento del 2%, fiduciano il governo con maggioranza di almeno 61 seggi.
Conviene anche precisare che grosso modo con destra e sinistra vengono connotati l’ultra ortodossia religiosa e l’estremo nazionalismo (non sempre coincidono) da un lato; i moderati e i laicisti più gli arabi dall’altro.
Nella passata legislatura l’ossatura della maggioranza governativa era costituita da 63 seggi: Likud di B. Netanyahu, 27 seggi; Yisrael Beiteinu (laicista, ultra nazionalista) di A. Lieberman, 15; The Independent di E. Barak (già Labour), 5. Più Shas, 11 e altri ultra religiosi minori.
Il 22 gennaio scorso la lista unita Likud-Beiteinu ha ottenuto 31 seggi perdendone 11, 3 più degli ultimi sondaggi; Habayit Yehudi 12, meno dei previsti, ma l’ultra ortodosso United Torah Judaism 7, più 2 rispetto alla precedente Knesset; Shas conferma 11: in tutto 61 seggi. Due in più della costellazione all’opposizione, che è chimerico ipotizzare in un fronte comune. Clamorosi gli imprevisti 19 seggi del Yesh Atid (‘C’è un futuro’) di Yair Lapid. HaTnuah (‘Il Movimento’) di Tzipi Livni 6; il Labour 15, recupera i 5 emigrati con E. Barak più altri 2; Merez da 3 a 6; Kadima da 28 crolla a 2. Partiti arabi da 7 a 11 seggi.
24 gennaio 2013
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"Francesco Papafava”, ed. Una città, 248 pp, 12 euro. Per acquistarlo Tel: 054321422 Fax: 0543 30421 Pagina web acquisti: goo.gl/S0VVDCVjosa Dobruna... Ma non finisce qui: i rom, pare perché costretti a dichiararsi serbi, albanesi o turchi, come reazione...
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