Disunita, respinta dagli altri continenti sui quali aveva a lungo dominato, arrestata sulle soglie dell’Asia dalla cortina di ferro comunista e dalla rivolta delle sue colonie, messa improvvisamente di fronte al pericolo di una decadenza definitiva e costretta a chiedersi se può avere ancora un peso nel mondo, l’Europa è in crisi. In tal modo essa acquista una chiara coscienza di ciò che rappresentava e di ciò che potrebbe ancora rappresentare e scopre la propria vocazione, che troppe volte ha tradito, appena è stata posta di fronte al dilemma di unirsi per risorgere o di scendere nelle catacombe della Storia.
Proviamoci a misurare la portata del successo dell’Occidente nell’era moderna. Toynbee ci mette in guardia, e a ragione, contro le illusioni di quello che si potrebbe chiamare il narcisismo culturale; ma come seguirlo quando, dall’esempio del mondo greco-romano, egli trae i motivi per confutare la credenza secondo la quale "nel corso di questi ultimi secoli avremmo compiuto nel mondo qualcosa che non ha precedenti”? Alessandro aveva conquistato soltanto un quarto dei continenti allora conosciuti, e se ha creduto che essi costituissero il mondo intero si è ingannato. Ma noi non possiamo commettere un errore analogo.
Che cosa ha fatto l’Europa dal secolo XV a oggi? Non soltanto ha irradiato la propria luce sull’intero pianeta, finalmente e solo da essa conosciuto; non soltanto ha influenzato, colonizzato o sottomesso (a seconda dei casi) tutta l’Africa, le due Americhe, l’Oceania e la parte meridionale dell’Asia (in misure diverse, ma per lo meno pari a quelle raggiunte dai Diadochi e dai Khan mongoli); ma, per di più, non ha cessato di mantenere una superiorità intellettuale e tecnica incontestata sulle altre civiltà. Se oggi i popoli in cui sono penetrati i metodi di pensiero, di produzione materiale e di organizzazione statale dell’Europa, si rendono politicamente indipendenti, io scorgo in ciò la prova decisiva del successo di questi metodi importati, piuttosto che una ribellione contro di essi. I greci e i romani non disponevano di un margine di superiorità incontestabile sugli indù e sui cinesi; ma dove trovare, nel mondo del secolo XX, un’altra civiltà capace di superare quella che l’Occidente ha diffuso? L’Urss e la Cina non rappresentano forse dei fenomeni di occidentalizzazione -troppo rapida- di una grande parte dell’umanità, altrettanto almeno quanto un regresso politico dell’Occidente? Sul piano religioso, il cristianesimo, pur non avendo conquistato il mondo intero -anzi essendo in regresso nei paesi comunisti- è stato la sola luce nella storia conosciuta (fino all’apparire del vangelo comunista), che ha illuminato tutti i popoli della terra e conserva ancora, più viva che mai, l’ambizione di convertirli. Anche qui non esiste alcun precedente nella religione dell’impero romano, il quale -per quanto io ne so- non ha mai ispirato vocazioni missionarie.
Non è tanto dunque la rivolta del mondo quanto le peripezie insite nell’Avventura dell’Occidente che sono all’origine della crisi drammatica che attraversiamo sin dal 1914 e il cui centro è il luogo stesso donde l’Avventura ha preso le mosse: l’Europa. Scegliendo tre sintomi principali di questa crisi: disunione dell’Europa, condizione proletaria e crisi della democrazia, tenterò di farne rapidamente la diagnosi e soprattutto la prognosi.

Disunione dell’Europa
Tra l’origine dal nazionalismo che, diffuso tra altri popoli, ha come effetto di coalizzarli contro l’Europa. Di fronte a venti piccole nazioni che si ostinano ad affermarsi "sovrane” -e delle quali nessuna è in grado di difendersi da sola- stanno il blocco sovietico compatto, l’Islam ostile e l’Asia che ci espelle. L’Europa, che aveva scoperto tutti i continenti, ha dovuto sentirsi minacciata per giungere finalmente a "scoprire se stessa” in quanto unità superiore e anteriore alle nazioni che la compongono; ma l’affermazione di questa coscienza, preludio indispensabile a qualsiasi tentativo di unione sul piano politico, appartiene ancora soltanto a élites ristrette, stranamente eterogenee. Qualunque sia il successo, prossimo o remoto, dell’azione rivolta a unificare l’Europa (ed è ancora troppo presto per darne un giudizio, dopo soltanto qualche anno di sforzi malamente coordinati), ciò che importa è il fatto stesso che un’azione del genere si sia manifestata in un tale momento dell’evoluzione dell’Occidente.
Si può pensare che l’Europa abbia fatto il suo tempo e abbia ...[continua]

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